martedì 28 aprile 2009

Poi le cose presero un'altra piega...

Poi le cose vengono fuori come questa primavera. Siamo totalmente fuori stagione, siamo sotto questa pioggia acida e l'ombrello chissà dove lo abbiamo lasciato. L'ombrello forse non lo abbiamo mai comprato, ma eravamo troppo distratti per farci davvero caso, eravamo troppo presi per pensare agli eventuali jeans inzuppati, alle converse che sarebbe ora di cambiare, o alle scarpette simileleganti che le troviamo con Marci nei negozietti imbucati di Bologna, quando stavamo già per arrenderci e per tornare a casa.
Poi le cose vengono fuori come questa primavera e guardiamo il fiume ingrossarsi dall'argine, e ci chiediamo se resisteremo in piedi o se ci ritroveremo in qualche mare inquinato. Se andremo in Messico e lo troveremo senza nuvole. Magari, di questi tempi è quasi meglio la Normandia, che sarà ancora schiaffeggiata dal vento e dal freddo, ma lì è normale e allora ci sembrerà un paradiso. Solo perchè è autentico, solo perchè è così che deve essere.
Così poi ad un certo punto passerà tutto questo e sarà un caldo infernale, e ci lamenteremo anche di quello, che è arrivato troppo presto, che è arrivato troppo improvviso. E allora ci guardiamo indietro e vediamo i segni che la primavera ha lasciato sulla giacca, il verde e il giallo che è rimasto. Che non va via con una scrollata, nemmeno con una scrollata di quelle decise, di quelle che poi le dita tremano un pò.
Poi prenderemo in mano le bacchette, e non ci sarà nient'altro. Mentre il libro che cercavo in biblioteca è stato già dato a qualcuno, e altri sono già in coda per leggerlo. Perchè ci arrivo sempre dopo? Allora semplicemente mi infilo in mezzo agli scaffali, senza fretta, senza quella solita irrequietezza, senza il peso di altri nomi, di altri significati. Ti vengo a cercare, e ti trovo.
Domani in treno tirerò fuori un bel libro, dalla borsa. Anche se fuori continuerà questa primavera del cazzo.
Buona visione.

mercoledì 15 aprile 2009

Dormito bene?

Che poi se ci penso bene, una foto ce l'abbiamo anche. Che è venuta male, che è venuta mossa, ma ce l'abbiamo. E vengono male un sacco di cose, e allora ti dico scappo e sono le cinque del mattino in un taxi e in cinque non riusciamo a pronunciare una esse senza biascicarla.
E vengono male un sacco di cose, compreso questo male devastante di tonsille che sembrano bombe a mano. Portami ancora in quella barca tutta fighetta col mio bicchiere di franciacorta, a guardare steso sul ponte il sole e Venezia e i suoi sei milioni di turisti. Sistemandomi i rayban mi chiedi se sono abituato a lasciarmi la terraferma a distanza e ti rispondo l'ultima volta che mi sono steso in una nave era una cuccetta sfatta ad Amsterdam e adesso c'è più di qualcuno che mi saluta con ciao mattia dormito bene? anche alle sette della sera.
Portami ancora ma ti prego questa volta fai durare il tutto un pò meno. E fai durare il tramonto un pò di più, che è così riposante mentre annega nella laguna, riposante magari come lo direbbe Fossati ne Il Battito, una cosa così. E fai durare questo tempo e trasformalo e trasforma noi con lui, noi e le nostre passeggiate e i nostri puntini.
E tra tutte le cose che vengono male, magari qualcosa no. Qualcosa resiste. Una parte del mondo... in aprile.
Qualcosa resiste, e resiste fondamentalmente perchè siamo bravi.

mercoledì 8 aprile 2009

Altri nomi - Unwound, Padova

I ritardi mostruosi e la voglia di scrivere.
Che siamo tornati da cinque minuti e già stiamo montando gli strumenti sul palco dell'Unwound. Padova, che era un pò casa mia. E c'è Egle, e il suo telefonino, e la sua chitarra da martire. E il resto siamo sempre noi che facciamo una cenetta tranquilla e le nostre discussioni serie che moltiplicano i grappini. E ci siete quasi tutti e mi riempite il cuore sotto la maglietta blu che si inzuppa ogni canzone di più. E le bacchette volano, e la tensione si spezza ma c'è che non è più marzo e marzo era il mese delle cose che non bisognavano di spiegazioni. E aprile magari sì. Tutte queste e a inizio periodo mi stanno stancando, terribilmente. Come tutti questi avverbi a fine frase, ovviamente.
Lasciamo carte d'identità, lasciamo vinili, lasciamo dischi, lasciamo cose e persone.
Roberta grazie per la pazienza e quel cane che non ne voleva saperne di smettere di abbaiare. Mentre buttiamo a terra tutte le maschere del mondo e ce ne rimane sempre e comunque una appiccicata in faccia. Che ci viene male al pensiero che forse è proprio quella, l'originale. L'inizio.
Enver grazie per la foto che te lo dico qui, che l'ho messa.


E perchè alcune canzoni dei Massimo Volume segnano dei passaggi così profondi, me lo chiedo spesso e volentieri. Anche con l'iPod volutamente random. Anche con tutto il resto, necessariamente random.


avremo altri nomi
e altri modi per perderli di nuovo
chiameremo nuovi numeri e avremo altri nomi
e altri modi per perderli di nuovo
è venuto il momento di andare
e di dimenticare ciò che era e ciò che è stato
ciò che era e ciò che è stato

giovedì 2 aprile 2009

Il tour diary, l'altro.

Non abbiamo troppe parole, che le abbiamo già spese su rockit. Che ce lo hanno chiesto. E magari da soli ci siamo arrivati ad essere meno ingarbugliati, e scrivere un po' con l'apostrofo e non un pò con l'accento. E le cose che non riusciamo a dire magari le sentiamo o magari semplicemente le abbiamo fotografate.
Chioggia, Padova, Bologna, Innsbruck, Vienna, Zilina, Haag, Brno, Dresda, Darmstadt, Amsterdam, Eindhoven, Parigi, Nantes, Rennes, Tilburg, Berlino, Immenstadt, Bologna, Chioggia.



Litighi col TomTom, e realizzi che davvero, un via per nowhere, esiste, e nowhere è in Repubblica Slovacca. E ti proteggerò da questi hotel dalle insegne spente, ma ogni tanto vedrai che ci andrà bene, a fumare dalle finestre e a lanciare i mozziconi nelle vie che per noi non avranno mai un nome. A suonare a parlare a bere con delle persone che non avranno mai un nome. E non avranno mai un'età.

Come quando ci sparano degli sbarchi in Normandia proiettati sulle nostre teste. Noi non vediamo quello che siamo, ma quello che non abbiamo ancora.


Ci diranno che è colpa dello slivovitze e delle corone ceche. Di una città che è divertente e degli aftershow che durano fino a quando si vede un pò di luce entrare dalle finestre. Davvero gli anni ottanta cecoslovacchi hanno lasciato in eredità Samantha Fox, anche nel duemilaenove. Davvero a volte basta poco per sentirci un pò più leggeri e per ridere del nostro pavimento comodo. E i cuscini di tatranky. E i tempi bui coccolati da PostPunk1978-84. E le marlborolightmorbide a due euro e sessanta.


I nostri lunedì sera in Germania Est. Camminando per le vie di Dresda a cercare le macerie che non troviamo e di cui tanto ci hanno parlato. E ti telefono, ti ricordi? E anche Bruno passeggia a casaccio e le nostre sigarette fatte col van nelle che è una mattonata di tabacco ma è buono come pochi altri. Come te. Dresda resterà nelle mattine gelide che ci scattiamo delle foto oscene. Dresda resterà nelle pasticcerie spoglie e nelle loro tazze di caffè. Battere i denti sbattere i pugni. Battere i denti sbattere il cuore.

Ci capitano le ville occupate. Ci capita che c'è un biliardo e gioco da solo, e la bianca imbuca tutte le palle e mi sembra strano. Che non è mai successo. Spezzi l'incantesimo appena prima della fine e l'ultima, la numero otto, non vuole entrare. Entra solo con dei tiri random. Colonizziamo le ville occupate, che una Fujifilm ogni tanto ti scatta anche delle foto carine. E l'ultima sigaretta che ti lascio perchè dobbiamo fare i bis. E siamo sul palco e Bruno e Marcella la loro sigaretta ce l'hanno ancora tra le dita. E sorrido, e l'archetto distrutto. Che qui non è rockit, che qui il minuto di silenzio, lo si deve rispettare.


C'è il pesce Iocca e l'orso Bruno. Un iPod scarico. E le tastiere tedesche che perdonatemi le mail e i messaggi pieni di dieresi.


Amsterdam non l'abbiamo vista. Se non dal ponte di una nave. Che se vuoi puoi diventar parte dell'equipaggio, basta che tu sappia fare qualcosa di utile. Ma se ti capitano le cene a base di mango, scappiamo via insieme che magari ci ritroviamo a camminare per le vie di Rostock, o di Amburgo. O magari a San Pietroburgo, tra i suoi mille ponti. E tutti i gradi sotto lo zero.

I nostri modi estremi di rilassarci. E le viste simpatiche dagli appartamentini in concessione. Eindhoven era la città del sig. Philips ed è la città della Philips. Quando ci mancherà l'ispirazione a Torino, verremo qui a terminare il nostro romanzo post-industriale. Dove le biciclette investono le automobili, dove i pompieri vengono a dirti tranquilli è solo un falso allarme.
Suonano gli allarmi dentro e fuori, e le sentiamo nella testa in ciabatte e cappotto col bavero alzato fuori dalla finestra che in casa non si può fumare. Che cominciamo a scricchiolare e ci facciamo male ed è un pò come leggere Dostoevskij.

L'onomastica emiliana la troviamo a Ourcq. Torniamo a Parigi. Cerchiamo una lavatrice cerchiamo una presa per attaccarci e ricaricarci. Sono posti già visti ma visti così è un'altra cosa, anche tagliare Parigi a caso per arrivare da qualche parte. Anche camminare io e i miei pensieri per capire se davvero Parigi è una vacanza o è una parentesi. O è che ti prende male che sei fermo in Place de la Bastille o che passi la notte senza dormire. E in assenza di stampanti fotografiamo le mappe per i checkpoint con la digitale. E nell'altra mano un macaron au chocolat. E nell'altra mano una valigia. E nell'altra mano una Pall Mall blu solo perchè non abbiam voglia di rollare. E nell'altra mano un cellulare scarico. E nell'altra mano una stecca di cioccolato alla creme brulè. E nell'altra mano tutti i cosamifai del caso. E ho finito le mani. Che ci stravolgiamo alle undici della mattina. E fortuna che la gente di Nantes è tranquilla, e calorosa. Che non ti fa pensare, ti fa ascoltare i Fugazi e fuma sigarette senza filtro.

Quando tre fonici ne valgono mezzo. E la batteria non ci sta. E perdi una bacchetta e Bruno ti guarda e sogghigna e si gira subito sulla nordelectro che se va fuori pure lui possiamo anche alzarci fare l'inchino e andare via. E odio il cocco quasi più del mango. Decisamente di più. E le telefonate non ci vengono bene.


Berlino è un sogno. E sfuma le parole che tanto sono inadatte. Non è stata ripresa, Berlino. E' stata semplicemente vissuta finchè non ce n'è stato più. Finchè ti accorgi che più di così ti fa male e ci vuoi restare. Non sarebbe bello. Non sarebbe eroico, abusarne. Tu e tutte le cose che non mi dici e tutte le cose che ho capito guardando fuori del finestrone della camera. Che non si vedeva tanto, ma si vedeva il giusto.




Una rondine non fa primavera ma a Immenstadt probabilmente non sanno nemmeno cosa sia, una rondine. Non sanno cosa sia la primavera, se questa è la primavera. Metri di neve e un ponte strano dalla forma improbabile come le nostre conversazioni e un albergo con delle porte in vetro che non le vedi e ti ci schianti contro. Mentre imprechi che ci siamo svegliati dopo tre settimane. E spingiamo il Ducato sventrato verso l'infinito fatto di neve e di strade di montagna che pensi adesso sbuchiamo in russia. E invece sbuchiamo in Austria. E al primo autogrill italiano litighiamo con i primi mentecatti italiani. Per sentirci un pò più a casa. Per tornare ai messaggi gratis e alle telefonate senza l'euro in sovrappiù. Per dirti sono sceso dalla giostra e mi stavo divertendo.

Il treno lo prendo sotto il sole e in realtà è quello delle undici e cinquantasei che parte con mezzora di ritardo ed esibisco il primo maglioncino di cotone sbucato fuori dalla valigia. Sulla via di casa. Che mio fratello lo hanno trovato a piangere sul mio letto, lui e i suoi sette anni. E che è la prima persona che abbraccio e sarà una delle ultime. Almeno con quel trasporto.

E fa che il giorno si dimentichi di arrivare.

E fa che il giorno si dimentichi di arrivare.


Quanto abbiamo preso, quanto abbiamo perso, quanto abbiamo vissuto, quanto siamo morti. Non lo sapremo mai con precisione. Resta un pinguino. Tu non sai di cosa sto parlando, ma è così che finirà, un giorno, improvvisamente.