giovedì 30 giugno 2011

Capire troppo.

Ti riempirò di fiori, con la terra e i vasi, così da essere sicuro di non mancarti.
Ci riempiremo di domande su cosa vogliamo fare di questa estate, che prima non arrivava mai e adesso un po' ci sfugge, che a Padova sono quaranta gradi e ci stiamo sciogliendo per niente, che a Bologna non si può stare in casa, che poi tecnicamente la casa non è neanche mia. A Milano dici l'asfalto scotta anche attraverso i sandali, qui ti rispondo il cervello ha preso fuoco anche con l'aria condizionata accesa. E attorno a tutto questo restano delle mail a cui rispondere e le newsletter che non abbiamo mai voluto ricevere, e cose da sistemare e caffé da prendere senza curarsi troppo di darsi delle priorità.
C'è Marco che ha venti mesi e non capisce troppo ma senza dire niente colonizza la spiaggia, e ci giochiamo insieme costruendo castelli di sabbia che durano qualche secondo. Il tempo per permettergli di schiacciarli con le mani, e la bocca incrostata di sabbia. E non capisce troppo perché non ti sente nemmeno quando lo chiami, a meno che non gli convenga, come i gatti. E ride e infila la testa nella sabbia, come gli struzzi, forse proprio perché non capisce troppo. Mentre smetto di chiedermi perché sono andato a studiare in spiaggia, che forse non capisco troppo nemmeno io.
Strumentali nelle orecchie, pensieri che sfuggono, parole che non dici, ma che ti porti dentro. Pensieri troppo veloci per fermarli su un pezzo di carta, su un foglio excel, sul display di un cellulare troppo vecchio per funzionare ancora. E intanto Marco cammina tra gli ombrelloni, sbanda di tanto in tanto, scivola ma non piange. Tutti lo controlliamo da distante, senza intervenire. Sarà che secondo me non capisce troppo, ma sembra aver capito tutto.

sabato 25 giugno 2011

Ottavina a cinque sponde.

Il nuovo me non perde treni, semplicemente i treni proprio non passano. E allora impariamo a giocare a biliardo all'italiana in un bar del dopolavoro ferroviario di Rovigo, per ammazzare due ore altrimenti infinite. Un bar di cinesi dove un bianco costa 80 centesimi. Dove i vecchi che giocano a carte ti spiegano i punti e ti guardano come un coglione quando sbagli un tiro facile. Che non sai usare i diamanti per le sponde. Che l'ottavina a cinque sponde ho dovuto andare a guardare su google che cos'è, e adesso che lo so posso assicurarti che non mi verrà mai, neanche dopo trent'anni di partite. Che se colpisci di taglio poi caramboli con la rossa, colpo al boccino e il filotto è servito. Facile no? Svariati punti, che non so contare.
Il nuovo me cammina di notte, per tornare fulminato a casa mentre il sole comincia a sorgere dopo lune rosse e venerdì neri. Entra nei sogni altrui e nei libretti universitari. Nei crediti che mancano per laurearsi. Nelle mail che non mi mandi e che mi lasci qui ad aspettare un giudizio che arriva sempre troppo tardi.
Il nuovo me è una canzone che dura troppo poco e un po' dispiace, perchè ha un incedere un testo un suono di quelli che potrebbero durare anche dieci minuti. Mentre te ne vai da una parte all'altra ed io ti aspetto qui, mentre ho detto addio a certi portici e a certe strade per poi tornarci e dire era solo un arrivederci, sono il solito esagerato.
Il nuovo me è sempre quello. Fondamentalmente ha solo i capelli molto più corti.

mercoledì 1 giugno 2011

Forse di maggio, resterà solo questo.

Guarda che maggio è passato. E i tramonti non arrivano mai mentre scattiamo troppe volte su e giù per le stesse strade, da mattina a sera, ancora. Che poi ci passano davanti momenti da riempirsi gli occhi, i colori decisi delle case ai bordi della laguna, la tua inaspettata guida sportiva. Gli agguati dei carabinieri e i posti di blocco nei posti più improbabili che verrebbe da chieder loro perché hanno scelto di mettersi proprio lì, mentre continuiamo a parlare delle nostre cose con la radio troppo alta. Andiamo a controllare tutti i sensi di marcia invertiti, le rotonde e i leghisti che nei santini elettorali hanno la città nel cuore e il cuore a destra. E tutti gli arancioni che a seconda del luogo hanno significato una prevedibile sconfitta ed un'esaltante vittoria, solo per una questione di chilometri. E alla fine dovrai trovarti un lavoro, anche tu. Ma ho i miei dubbi.
Sai, non me ne sono reso conto che maggio è passato, ma ho visto i tuoi occhi, e ho sentito il tuo sorriso appoggiato alla mia spalla, uno scalino più in basso così siamo alti uguali. Forse di maggio, resterà solo questo.