mercoledì 11 marzo 2009
lunedì 9 marzo 2009
Portami dove non bisogna parlare - Off, Modena / Ortosonico, Giussago (PV)
Tante cose e poco tempo. Una valigia da preparare. Una valigia da riempire. Ma c'è sempre un prima. Prima certe cose non le pensavamo nemmeno. Poi abbiamo cominciato a realizzarle dicendoci stiamo diventando grandi, nonostante tutto.
Prima era mercoledì ed era l'Off di Modena sotto la pioggia e le cene convenzionate. Ricercando una cultura davvero sottostante, o forse no. I Ministri hanno certificato il loro passaggio nel bagno del camerino, marchiando la porta di un pennarello indelebile. Poi sono arrivati i Calibro35, ma ormai era tardi. Noi ci limitiamo a suonare, perdendoci nei visuals che ci vengono sparati dietro e nel corridoio dietro il palco. E negli abbracci di e col Piombo, e la sua lei, e in 33secondi mi svuoto con 33ore perchè i mattoni pesano nello stomaco in maniera indicibile, mentre si esauriscono le camelmorbide e disquisiamo sul perchè sono le uniche sigarette ad avere un prezzo vago, mutevole.
Le colazioni greche a casa Sommacal e l'orologio della cucina che è più fastidioso della pioggia. E ci ritroviamo a Chioggia a bere un bicchiere di bianco, a dirci se me lo avessero detto sei mesi fa mi sarei messo a ridere, per motivi tutti nostri.
Egle suona al Big Fish giovedì, ragioniamo in piastrelle e facciamo tardissimo guardando il mare dal poggiolo ed è una gara a chi lancia più distante i mozziconi di sigaretta, e il romanticismo musicale è un qualcosa che non ci appartiene, anche qui per motivi tutti nostri. Che ci viene da ridere a sogghignare a vicenda io non invidio la tua età nonostante tutto ma ne riparliamo tra vent'anni.
Si passa alle cose strane come il pranzo a casa, quella pasta veloce che poi dobbiam tornare a bologna che invece diventa un antipasto-primo-secondo-contorno-dolce-caffè che quando saliamo in macchina siamo costretti a farci un'altra sigaretta, motore spento e finestrini abbassati, sotto il portone.
Sabato prendiamo il sole ma non lo rivendiamo e ce lo teniamo stretto mentre andiamo a Pavia all'Ortosonico, che è una cascina spersa nella campagna e il backline è una batteria jazz microscopica. Come quella di mio fratello. Togliendo la risonante della cassa non per essere punk ad ogni costo, ma solo per farmi sentire. Sabato arriva la Franci che non ci vedevamo da sette anni quando si era bambini o giù di lì e si condividevano le passeggiate in montagna e i canederli e i gelati mostruosi del Martagon. E il passato lo lasciamo indietro apparte qualche cenno sparso, concentriamo l'attenzione al presente, che mi viene da stropicciare gli occhi mentre ti vedo tra il pubblico e stoppo il pedale che decide di farsi un giro proprio mentre sto suonando.
E siamo a casa che fa quasi giorno, e mi sveglio presto e non mangio per essere a casa in tempi brevissimi. Ritrovandomi ad aspettare un treno che non arriva mai per tre ore alla stazione deserta di Rovigo, perdendomi con Matilde e i suoi tre padri e in infiniti monologhi contro la divinità attualmente in carica.
Se lo ricordava come fosse ieri. Lei s'era rifiutata di sorridere per non mostrare l'apparecchio ai denti e, al momento dello scatto, aveva girato lo sguardo verso di lui. Il braccio di Pippo intorno al collo, suo padre teneva gli occhi socchiusi. Una goccia di sudore gli colava lungo la tempia, e aveva un'espressione beata dipinta sul volto. Sembrava felice. Invece era solo fatto.
Che Chioggia al mio arrivo sfatto è immersa in un buio pesante come certi silenzi. Quelli che ci facciamo in quattro per limitarli. Per accenderli. Che non è come incendiare le farfalle meccaniche, ma poco ci manca.
Che non è come dirvi addio, ma un pò è stato così, anche se il passato è volato, e non vediamo perchè non debba essere così anche il futuro.
Domani si riparte, per una trasferta un pò più lunga del solito.
E' davvero strano vivere cose che solitamente ti arrischiavi persino a sognare. Che erano troppo. Che ora sono.
Portami dove non bisogna parlare.
Le colazioni greche a casa Sommacal e l'orologio della cucina che è più fastidioso della pioggia. E ci ritroviamo a Chioggia a bere un bicchiere di bianco, a dirci se me lo avessero detto sei mesi fa mi sarei messo a ridere, per motivi tutti nostri.
Egle suona al Big Fish giovedì, ragioniamo in piastrelle e facciamo tardissimo guardando il mare dal poggiolo ed è una gara a chi lancia più distante i mozziconi di sigaretta, e il romanticismo musicale è un qualcosa che non ci appartiene, anche qui per motivi tutti nostri. Che ci viene da ridere a sogghignare a vicenda io non invidio la tua età nonostante tutto ma ne riparliamo tra vent'anni.
Si passa alle cose strane come il pranzo a casa, quella pasta veloce che poi dobbiam tornare a bologna che invece diventa un antipasto-primo-secondo-contorno-dolce-caffè che quando saliamo in macchina siamo costretti a farci un'altra sigaretta, motore spento e finestrini abbassati, sotto il portone.
Sabato prendiamo il sole ma non lo rivendiamo e ce lo teniamo stretto mentre andiamo a Pavia all'Ortosonico, che è una cascina spersa nella campagna e il backline è una batteria jazz microscopica. Come quella di mio fratello. Togliendo la risonante della cassa non per essere punk ad ogni costo, ma solo per farmi sentire. Sabato arriva la Franci che non ci vedevamo da sette anni quando si era bambini o giù di lì e si condividevano le passeggiate in montagna e i canederli e i gelati mostruosi del Martagon. E il passato lo lasciamo indietro apparte qualche cenno sparso, concentriamo l'attenzione al presente, che mi viene da stropicciare gli occhi mentre ti vedo tra il pubblico e stoppo il pedale che decide di farsi un giro proprio mentre sto suonando.
E siamo a casa che fa quasi giorno, e mi sveglio presto e non mangio per essere a casa in tempi brevissimi. Ritrovandomi ad aspettare un treno che non arriva mai per tre ore alla stazione deserta di Rovigo, perdendomi con Matilde e i suoi tre padri e in infiniti monologhi contro la divinità attualmente in carica.
Se lo ricordava come fosse ieri. Lei s'era rifiutata di sorridere per non mostrare l'apparecchio ai denti e, al momento dello scatto, aveva girato lo sguardo verso di lui. Il braccio di Pippo intorno al collo, suo padre teneva gli occhi socchiusi. Una goccia di sudore gli colava lungo la tempia, e aveva un'espressione beata dipinta sul volto. Sembrava felice. Invece era solo fatto.
Che Chioggia al mio arrivo sfatto è immersa in un buio pesante come certi silenzi. Quelli che ci facciamo in quattro per limitarli. Per accenderli. Che non è come incendiare le farfalle meccaniche, ma poco ci manca.
Che non è come dirvi addio, ma un pò è stato così, anche se il passato è volato, e non vediamo perchè non debba essere così anche il futuro.
Domani si riparte, per una trasferta un pò più lunga del solito.
E' davvero strano vivere cose che solitamente ti arrischiavi persino a sognare. Che erano troppo. Che ora sono.
Portami dove non bisogna parlare.
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