sabato 29 novembre 2008

L'odissea - NoLogo, Laives (BZ)

"Ma guarda che cielo. Dai, ma come fa a nevicare domani?"


Sono cose inaspettate che però da tanto le hai rincorse che poi ti sembra quasi giusto, che finalmente accadano. Le stabilità, le raccomandazioni.
Bologna ci svegliamo presto carichiamo gli strumenti partiamo che la radio ci aspetta. Bolzano che la radio sono gli studi Rai del Trentino che ci prendono i documenti e ci danno i pass come fossimo persone serie e comunque sembrano sufficiententemente conservatori per noi che invadiamo i corridoi e ci accordiamo gli strumenti e tutti chiudono le porte. E ci fanno il soundcheck che noi quasi non dobbiamo suonare, che il mio timpano è la custodia rigida di una chitarra. Il punk e le idee insane à la Gang of Four.
Vanja ti abbiamo usurpato la casa ma grazie per le cose da mangiare per le cose da bere per le cose da dormire. Per le cose. Il NoLogo è un pò fuori e sapevamo sarebbe stato un pò delirante. E non si sentiva assolutamente niente e te l'ho detto prima e te l'ho detto durante e te l'ho detto dopo. Fino a stufarsi, concentrandosi sul sopravvivere al freddo. Portare a casa la giornata.
La fortuna di beccarsi il letto migliore, dove si sviene non ci si addormenta. Mentre Egle scricchiola. Svegliarsi sotto la neve che l'avevano chiamata ma nessuno lo poteva immaginare. Le compere veloci prima di scappare. Che Giacomo compie gli anni e non si può mancare per nessuna ragione al mondo. Bolzano-Verona in macchina a gareggiare con gli spazzaneve. Verona-Padova in un treno austroitalico a cercarti nei riflessi che se ti avessi vista ti sarei svenuto in braccio. Padova-Chioggia in autobus a dormire e a rispondere alle vostre telefonate preoccupate sì sto tornando ho perso il treno dico sì arrivo ma lasciatemi dormire altri dieci minuti giuro solo altri dieci.
Domani, c'è il meetingdelletichetteindipendenti.

lunedì 24 novembre 2008

Settanta righe

Neve ovunque ma non qui. Qui non nevica, qui al massimo piove. Qui al massimo potrebbero cadere le amministrazioni. Ci chiudiamo in casa a testare le meraviglie tecnologiche. A sperimentare lo spirito borghese. Non fa così schifo annegare in un idromassaggio.
Settanta righe di articolo confezionate e discusse e mi presento a giustificarle un sabato mattina dopo un venerdì sera di quelli che finiscono il sabato mattina. E la mia credibilità inversamente proporzionale alla profondità delle occhiaie quando mi sfilo gli occhiali da sole. Ma mi animo e mi agito e pure mi alzo in piedi nella crociata in favore delle mie parole compilate con una parvenza di stile. Che se mi sentisse Deleuze a parlare di stile mi sputerebbe in un occhio. E me ne vado soddisfatto, pensando al momento in cui getterò la sciarpa e il cappotto sul letto, e mi getterò pure io.
Settanta righe di articolo legati ad una sedia e a milioni di fotocopie e ad una pagina word. Mi dici che sorvolo, ti dico che hai ragione, ma il volo più alto si ferma ai mercoledì sera, e Roma è lontana troppo lontana specie dal momento in cui avevamo già cominciato ad immaginarla di nuovo. Le serate di un tempo non fanno male, le serate di un tempo a sbattere i denti immersi nella nebbia a vederci i concerti aggrappati ad un bancone a dirci beviamo poco che poi se ci prendono ci fanno un culo così e poi torniamo a casa non dico storti ma sicuramente non perpendicolari a terra.
Settanta righe e la prossima volta magari saranno di meno. E magari la prossima volta non perdiamo la partita più sentita contro i più odiati, e magari lo stomaco smette di farmi male, che magari sembra che mi potrei bere anche il mare, in realtà bevo abbastanza poco e quindi dubito che pianga per quello. Magari è un virus, magari sono i tuoi discorsi che io non volevo sentire ma che mi hai voluto far sentire e io ho provato a non sentirli ma li ho sentiti comunque.
Pensi anche tu, ogni tanto, al valore di quello che ci circonda? Alla neve che è bianca per modo di dire? Che tanto no la tache? Che, magari fossi così anch'io?
La certezza che le nostre innocenze si sono estinte o per lo meno non le riconosciamo più come tali, come i fulmini di una giornata tranquilla. Aver sbattuto per anni la testa su muri che un giorno sono implosi senza che me ne accorgessi. Come scoprire che non ti amo più. Dopo avere provato ad odiarti per lungo tempo. Se ci pensi, è terrificante. O è solo naturale.
Mi rivedo in mio fratello. Mi rivedo in mio fratello nelle cose che non sono più. Nelle cose che mi piacevano. Come stiamo diventando grandi, non lo sa nessuno.

when i once was
innocent
it's still here

but in different places


E sai, domenica notte, ero sveglio, e quando mi hai scritto, non ho potuto che sorridere, sistemarmi meglio nel letto. E basta.

sabato 15 novembre 2008

Il diluvio universale - Teatro Cicconi, Sant'Elpidio a Mare (AP)


"Tutto bene?il tg dice che ieri a s.elpidio c'è stato il diluvio.."

Andiamo oltre un semplice concerto. Andiamo oltre, anzi andiamo indietro. A quando le coincidenze sorridono, a quando ci giriamo dentro e non possiamo che sorriderci di rimando. Con i denti rotti dai manganelli invisibili che poi sono le tue ambiguità che poi sono il mio pane quotidiano.
Ci scambieremo l'indirizzo quello vero, senza le chiocciole, ci spediremo lettere, e mi farai tornare bambino e io ti ringrazierò, scrostando la ruggine di troppe tastiere. Di troppi linguaggi binari per il nostro stomaco sostanzialmente ottocentesco.
Ci scambieremo ancora messaggi così, ora che sta tornando il freddo, ora che tante cose sono cambiate dall'inverno scorso. Prendiamo le cose nel verso giusto, ci proviamo, respiriamo forte l'aria intrisa di pioggia e aumentiamo il passo. Nella gelida Bologna, che è bellissima e lucente ma in fondo fino ad un certo punto, che mi dici che le cose da dentro hanno sempre un altro gusto, un pò più dolce.
Accendiamo le luci della centrale elettrica in una libreria di via Mascarella, dove ci sono quasi arrivato da solo, dove sono stato volutamente abbandonato. E ridiamo a rivederci dopo mesi a raccontarci di alcolici introdotti di soppiatto nei camerini piuttosto che di processioni di infanti e carrozzine che escono dai backstage mentre dentro ci sono i tornadi.
E poi ti scrivo da un ponte sopra la ferrovia cercando con lo sguardo la locomotiva che sta fuori del Locomotiv, dove si trova di quella gente che non ti aspetteresti mai, e che ti puoi dare miliardi di appuntamenti che tanto ti potrai incontrare solo così.
Poi arrivano i collassi casalinghi altamente inaspettati, quelli che la pressione va sotto i piedi. Quelli che un pò ti prende male ma sei un pò troppo stupido per ricucirti i polsi sul serio. Benvenuto nel club del cuore fossile.
Abbiamo preso tanta di quell'acqua per arrivare a Sant'Elpidio a Mare che ce la ricorderemo per sempre. Una sorta di diluvio universale. Che ci ha dato il buongiorno a Bologna e ci ha accompagnato ad oltranza. Abbiamo scalato le colline mentre le colline crollavano e si improvvisavano i fiumi, mentre entravamo in un borgo che se fossi un distinto uomo medio mediamente sciacallo giuro mi ci trasferirei domani. E il Teatro Cicconi risuonava come uno studio di registrazione, e quando i fulmini facevano saltare la corrente noi caricavamo le spie di tutti i suoni possibili, perchè volevamo farci entrare i decibel nell'intestino. Inchiodando il tappeto e la cassa della batteria con i chiodi, che sembrava volesse scappare via. E la pioggia ci ha inondato per le viottole del centro con le grondaie che ci piangevano in testa, un pianto di quelli epocali, quelli che un ombrello in due non basta. Passiamo davanti alla casa di riposo e dico ad Egle bene le nostre strade si dividono qui ed Egle mi dice sei davvero uno stronzo per essere un neonato e ci ridiamo in faccia e ci abbracciamo sotto l'ombrello bagnati fradici, mentre penso che non sarò mai in grado di rollare le sigarette come le rolla lui, tagliando via un pezzo di cartina prima di metterci il tabacco e il filtro.
A cena ci rifilano tanta di quella roba che alla fine non abbiamo neanche più i baffi da leccare, che se avessi tre stomaci che lavorano in simultanea giuro mi ci trasferirei domani, a Sant'Elpidio a Mare, che ha tutto tranne che il mare, e la stazione dei treni.
Sarà stato il palco di un teatro o l'umidità che sembrava andassimo in giro con i piedi scalzi o Egle che ci suona prima, ma siamo meno tesi del solito, e lo stomaco non si sigilla completamente come nelle precedenti puntate. O magari eravamo solo troppo impegnati a provare a digerire. E così ci siamo divertiti, e così ci siamo guardati poco, e così senza pensarci troppo abbiamo sfilato la scaletta ingoiando caramelle e sogghignando tra un pezzo e l'altro.
Il camerino, e quel gruppo che qualche anno fa c'ha dimenticato dentro un buon quantitativo di hashish.
La tua serata che a giudicare dalla voce è stata tranquilla disturbata dalla mia telefonata delle zerozerotrenta.
La nostra serata analcolica.
Quel cane bagnatissimo che tremava all'ingresso e ci guardava e ci intenerivamo molto più che per certi esseri umani e la coperta non dico per esaltare uno spirito animalista che non abbiamo mai avuto ma almeno per asciugarlo un pò. Attodefinitivo lo abbiamo chiamato, e che poi è sparito.
Così finisce, con una Bologna quasi pronta a svegliarsi e noi inspiegabilmente ancora troppo svegli per andare a dormire. Mi rigiro nel letto, con un AC30 a fare da comodino, a ripensare ai discorsi seri che avrei voglia di farti. A mettere una sveglia che non sentirò mai. A mettere una sveglia che non ho sentito. Per svegliarsi e specchiarsi i denti rotti dai manganelli invisibili. E vedere che in realtà, i denti sono integri, e lo sono sempre stati.

mercoledì 12 novembre 2008

Penguin boy's love story

Sempre a spasso. Troppe cose per la testa troppe cose da tenere troppe cose da organizzare. Le occupazioni e le colazioni trash e i Loftus. Loftus dei Loftus uno dei pochissimi dischi caricati integralmente nel mio iPod scalcinato.
Penguin boy's love story, King Carp in a Dan Ryan ditch, When the electricity goes out in the submarine.
Titoli così, per capirci.
Fogli sparsi e fotocopie ovunque, una valigia da preparare, articoli da consegnare, per riuscire a respirare e per portarti a vedere quei concerti che adesso non abbiamo tempo. E quel tatuaggio che più ci penso più mi sa che non me lo faccio. E si capisce poco, e lo capisco pure io.
E domani ci sono le prove a Bologna, dopo la sbornia "casalinga" di settimana scorsa, ci sono le Marche da conquistare. Venerdì.




lunedì 10 novembre 2008

Mentre guardavo avanti - Estragon, Bologna

"Dieci minuti e si va sotto il fuoco"

Si richiede attenzione, si abbassa la musica, sfumano i ModeSelektor. Proviamo senza troppa convinzione a parlare di qualcosa di cui non si hanno le parole, che si sono perse nei camerini, nei braccialetti verdi che sono come le chiavi di un paradiso che sa di fumo e di te che non ci sei. E di me che forse non ci sono mai stato di più.
Così potrebbe tranquillamente sembrare che peschiamo a caso dei mood da impersonare, che tanto dentro è un groviglio di nodi che non si sciolgono, ma che si stringono. Che teniamo la testa bassa mentre montiamo la batteria che non ne vuol sapere di star ferma. Balla bimba. E cammina ad ogni colpo, mezzo centimetro in avanti. Che per farsi sentire al mixer bisogna urlare. Mi sfaccio di pepsi e di occhiate al cellulare, che finchè dimenticherò il caricabatterie ad ogni trasferta sarà sempre in fin di vita.
Poi succede una cosa che vaporizza la tensione. Che la potrebbe sostituire col terrore. Che semplicemente dopo un check lungo preciso attento pignolo arrivi sul palco e non funziona nulla. E allora con fare inspiegabile ridiamo alla sfiga e ce ne andiamo e non ci prende assolutamente male e ripartiamo con calma. Che nel giro di dieci minuti la gente si è decuplicata, davanti. Prima però ci sembra giusto farvi saltare le orecchie. E da lì in avanti è inutile persino sussurrare.
Che l'Estragon è pieno, e chi se lo aspettava, anche per noi.
Che per la prima volta in vita mi sono cedute un pò le gambe, dopo, mentre guardavo avanti.
Che poi, c'erano i Massimo Volume, ancora. Rendiamo omaggio agli anni '90, nascosti in un angolo del palco a farsi passare l'adrenalina.


Chiudiamo
dentro
scatole
pezzi di vita
andati.
Restano
stanze
vuote.


(la foto è di Andrea Murgia, e lo ringrazio di cuore. Per tutto.)

martedì 4 novembre 2008

Questo, è vero

Siamo brevi. Siamo stanchi. Così la smettiamo anche con twitter, perchè certi aggiornamenti sono così inutili da sminuire anche un qualcosa di sommariamente divertente. La goccia, il vaso, e tutto il resto. Perchè siete inutili, siete ridicoli, siete patetici. Siete finti.
Mentre non ci troviamo in una piazza che pulsa come un immenso cuore. E poi ci troviamo. E ridiamo. E scappo che sennò mi assaltano i treni. Questo, è vero.
Mentre ci troviamo davanti le aulestudio che ho dimenticato, quelle dove c'è tutto tranne che il silenzio. Barattiamo cinque minuti sotto la pioggia, per due ore di sorrisi che non vedremo, ma che ci sono. Questo, è vero.
Mentre ci scriviamo messaggi abbastanza carini, abbastanza sinceri, abbastanza simili a come sarebbe dovuto essere. Questo, è vero.
Mentre è/ha piovuto e ci siamo inzuppati anche le ginocchia, e l'ombrello nonostante tutto nonostante tutti è resistito, non si è piegato, e mi pare che mentre lo riponevo in macchina, bagnato fradicio, mi abbia sorriso, per aver vinto di nuovo il vento.
Questo qui sopra, è vero. Questo qui sotto, è verissimo.