martedì 22 settembre 2009

Bentornato a casa.

E' finita che siamo tornati a casa con un tempismo perfetto, perfetto come tutto è cominciato, un giovedì mattina estremamente recente. Te lo dicevo che mi mancava, te lo dicevo che si è sempre la stessa persona ma ogni tanto si sta meglio perchè si fanno delle cose che ti fanno stare meglio. Il solito giro infinito, le solite mete, che partono dal biglietto dell'autobus preso dal solito tabaccaio al solito autobus che fisicamente non sarà sempre quello ma è quell'entità sottomarinapadovastazionefs che quando arriva non puoi non sorridere. E spegnere la sigaretta sotto la scarpa, anche se altri due tiri potevano tranquillamente venire fuori. Non puoi che lasciarti alle spalle quel bar quella pasticceria quell'albergo quel pizza express, e andare. Il solito treno che anche qui vale lo stesso discorso semiotico dell'entità. Risentirci perchè così esposto raffiorano cose, riaffiorano gli odori, riaffiora quel complesso di case prima di passare per Ferrara che ogni volta ti chiedi e se nascevo qua le cose come sarebbero andate? Siamo altro, cerchiamo altro.
Cercatevi il vostro odore eppoi ci saran fortune e buoni fulmini sulla strada.
La variabile dell'11, barraA barraB barraC che sia, ma anche lì, è ritrovare le mandrie di topi che vagano nel verde tra la stazione centrale di Bologna e la Montagnola. Percorrere via Indipendenza arrivare alla piazza del Nettuno, vedere le torri sempre più storte, immaginare più che intravedere casa Unhip. Così fino alla fine, così fino a San Lazzaro dentro una salaprove lasciata un po' a se stessa, a ritrovarci in tre che un po' ci sembra strano e un po' ci sembra esaltante. Allo stesso modo di vedere Noel Gallagher sul paginone di Rolling Stone che prima del concerto di Milano auspica una pausa, con gli Oasis. Il pranzo è servito, la cena è una crescentina fritta con patatina fritta con birra fritta. E i Massimo Volume all'Estragon. Che ci prende bene e ci prende male e Jim Carroll se n'è andato questa settimana e intuisci che un intero inverno di ventiquattro anni fa può morire con lui, nell'attimo in cui se ne prende coscienza, voler esser lui nell'attimo in cui canta, e lui non c'è più.
Gioco al massacro.
E noi ci siamo meno, a telefonare che ci portino due pizze. Che siamo finiti ancora prima che il venerdì sera cominci, che non ci resta che aggrapparci al divano e guardarci un film e svegliarci presto il sabato mattina per girare una Bologna accaldata, per passare davanti alle vetrine e vedere che manchi, sentire che manchi. E ci rinchiudiamo nei mobiletti, nelle deviazioni semiotiche che evidentemente ci è preso bene perché di quel libro fotocopiato e martoriato ci ricordiamo molte cose, cosa che non è così scontata. E quante c in questa frase.
Mentre giri attorno alla tavola parlando a voce alta. Mentre torno ed è come se correndoti incontro scivolo e sbatto la testa sullo spigolo, della tavola, come quando avevo cinque anni. Non che ne abbia molti di più.
Si torna a casa, e lo sappiamo che i bentornato a casa, sono molteplici.

giovedì 3 settembre 2009

Come quando fuori piove ma qui non piove mai.

Settembre, aspettando. Septembre, en attendant.
Settembre, le attese, le stanchezze, le pile da ricaricare. Provare a ricordarsi come si fa, provare a non annoiarsi, che non sarebbe giusto, che non sarebbe onesto nei confronti dei collassi, dei massacri, dei chilometri percorsi invece di dormire, delle nostre lingue che non si toccano mai, della sabbia tra i capelli di quando crollavamo mentre faceva buio. Avrei dovuto scrivere sui muri, quelle cose che ho dimenticato. Quelle cose di un luglio e di un agosto che sono scivolati lasciando qualche ammaccatura. Come quando abbiamo litigato con tutti, come quando siamo quasi scivolati per le scale di un castello medievale per i troppi cocahavana. Come quando ci sedevamo sulle panchine a guardare la laguna e le stelle riflesse e i nostri progetti di una vita migliore, per limitare gli attacchi di cuore che sarebbe già un'ottima cosa. Come quando fuori piove ma qui non piove mai.
Lo sai mi mancano i treni, mi mancano tutte quelle sovrastrutture che un po' santificavano quello che ero, il piccolo martirio del privilegiato, la grande incognita dello spiantato. Non so se sarà tutto così incantevole come l'inverno scorso, non so se sbattere i denti in un autogrill in mezzo al niente alle quattro di notte o alle quattro di mattina poco importa sarà altrettanto poetico, che inevitabilmente si cresce e forse sui muri avrei dovuto scrivere le cose da non ripetere. O ricordarmi qualche maglia in più. Ma questi sono i miei personalissimi anni zero, cominciati un po' più tardi. Che finiranno impacchettati con i libri universitari, e saranno (presto) un po' di me che se ne va.
E i ritorni sono sempre un po' zoppicanti, con le parole o con le bacchette sostanzialmente è uguale. Ci vuole tempo, anche quando non c'è. Ci vuole estrema dedizione, anche quando non si è mai stati dei campioni in materia. Ma abbiamo sempre dato tutto, quello non serve scriverlo sui muri che settembre o gennaio o aprile non fa differenza. E se mai non abbiamo dato tutto, era palese, chiaro, semplice come un quattro quarti.
Non è assolutamente una questione di arrangiamenti.