Lasciamo Padova ai preti laici e al loro cinismo e alle loro oratorie da situazioncine parastatali, che sono sempre le stesse dal millenovecentonovantaquattro. Che stiamo male lo sappiamo già, ma piangerci troppo addosso lascia strascichi di vittimismo, deplorevoli. Le candele che bruciano d'acqua, gli occhiali con tre lenti, una risata contagiosa.
Lasciamo Padova a Padova e le nostre prime seconde volte, a Bologna. Lasciamo il sole che acceca lo schermo del cellulare e sbaglio i numeri di telefono e il mio ciao come va mi sa che ho sbagliato numero lo so ma faceva davvero schifo. Le settimane lunghe tra treni e autobus urbani e autobus extraurbani e navicelle spaziali. Il nostro dopolavoro ferroviario fatto di caffè dai cinesi, di pizze in salaprove e di pizze in salaconcerti. Bologna e il Locomotiv e un soundcheck lungo secoli. Bologna è l'ennesima volta ma questa volta ci sentiamo un po' più nudi e conta poco la sciarpa e le luci sparate in faccia e la drum machine ancora troppo ostile.
La batteria sembra un po' più grande il palco sembra un po' più piccolo tu sembri un po' più tu.
Ma questa volta ci sono gli occhi per vedere, c'è la presunta tranquillità di metabolizzare i momenti data da quei trenta concerti in più sulle mie spalle piegate, di realizzare le cose quando accadono, come gli abbracci in giro per l'Europa come le piazze immense.
Amami, vienimi a cercare. Prendimi, stringimi fino a che mi fai un po' male.
Come il brivido freddo di sedersi su quello sgabellino che è sempre più comodo e guardare avanti e sentire le urla sincronizzate con quello che siamo. Guardare avanti e sentire che quello che sentiamo noi, è condiviso, soprattutto a Bologna. Chi cerca, trova. Ca y est.
Che mi dici che a te non piace così tanto, che le paure non han fissa dimora, che le vostre svolte son sogni di gloria, ma in fin dei conti è il posto migliore, per così tanti motivi che poi non ce li siamo nemmeno detti tutti, ma ci abbiamo fumato su un po' troppe sigarette. Le mie.
Il camerino era murato e quanto è stato divertente lo sappiamo solo noi. Vortici di presentazioni e di nomi dimenticati e di posti di blocco ipotetici e di autogrill notturni. Continuando ad essere bravi, che non è così male aprire gli occhi senza sentirseli grattare, e anche se non ci sei aspettami che arrivo pazienta dieci minuti un quarto d'ora al massimo.
Che magari verrà male, ma magari è il momento che nemmeno io so cos'è, ma passerà. Deve passare. Mi deve, ci deve, passare.
Così magari a Bologna ci torniamo, magari solo per presenziare, per le aste della batteria che sono ancora dietro il palco del Locomotiv, per una festa che saluta un'epoca che ho conosciuto troppo tardi.
Tutto passa come il mio periodo viola degli accendini. Che adesso siamo al periodo blu ma è meno intransigente. Che ce n'è stato uno bianco, in mezzo, velocissimo, fulmineo. E' bello essere intransigenti lo sai, non dare spazio a niente tranne che alla propria verità. Portata su un palmo di mano per sentirsi più stabili sui propri piedistalli di legno. Per non avere nemmeno l'impressione di cadere. Come fanno molti, come fanno troppi.
Se in una discussione ho torto, forse potrei darmi anche ragione. Se in una discussione hai torto, la ragione te la sogni.
Mi chiedo come fai a non cadere mai, l'avvenire è andato ma i sogni del passato sono ancora tutti qua.
Tra miccette e chitarre che non vanno. Cercando bottiglie di vino rosso che tu mi dici che è molto più bello dire di che vino si tratta, ma noi cercavamo semplicemente quello che faceva più gradi. Quattordici, per l'esattezza. Vi abbraccio, pisani, pensando a casa, pensando a quando era il tuo gruppo preferito, pensando all'innocenza di quei giorni che poi secondo me chissà se era davvero così. Pensando alle cene di pesce, alla montagnola e alla maglietta dei Motorhead. Come ad Eindhoven che la canzone prima di salire sul palco del TAC era Aces of Spades.
Tutto era come ce lo si aspettava. Anzi no, non fingiamo, è stato un delirio di proporzioni atomiche. Sgattaiolare di appartamento in appartamento bevendo vodkalemon e declinando qualsiasi altra cosa. Con gli assoli di chitarra quando si apre il frigo. Con mi fa davvero piacere trovarti qua beviamo qualcosa. Con gli uccelli proiettati sul muro e l'incenso nel cortile. E tutti vestiti di nero. Prima ci facciamo seimila foto e cinquemilanovecentonovantotto vengono malissimo poi mi distraggo e mi versi una candela sul braccio per una ceretta fai da te. Poi ti distrai e i miei jeans si bevono anche loro un vodkalemon. E la ceretta tocca anche a te. E io ho la faccia gonfia. E voi avete le vostre lingue infilate una nella bocca dell'altra, ragazze mie. Cosa di tutto rispetto, figuratevi. E qualcuno ha la testa infilata in qualche pentola. Mi ringrazierai offrendomi il caffè, un giorno lontano.
Alle donne agli uomini ai froci, vi amo vi adoro e ricopro di baci. Però andateci piano.
Però a casa andiamoci ancora più piano che i saluti sono infiniti e noi stiamo benissimo ma siamo quasi sicuri che l'ordine costituito ha dei parametri diversi per valutare la nostra gioia di vivere, in caso.
Come una sessioncina molto postpunk. Come sforzarsi di non raccontarti com'è il film. Che nessun piccione è stato ucciso, anche se non stanno simpatici a tutti, i piccioni. Topi con le ali. Lo diceva anche Sepùlveda, ma forse parlava direttamente di pipistrelli.
Twentyfour hour party people.
Ricorderemo tutto, ricorderemo il rumore dei tacchi sotto i portici, l'odore di erba della casa vicina, le tue parole che anche se non credo agli oroscopi credo a chi vive e osserva e pensa. Te che mi vieni a salvare ma io sono già salvo e allora parliamo del più e del meno fino a quando ci scaraventano a terra e contro la lambretta parcheggiata in cucina.
Ricorderemo dei posti che chiameremo casa. Vedrai, poi nello specifico sarà una casa bellissima. Con un giradischi nuovo, con le foto di tutti i posti in cui siamo stati, con le fragole attaccate ai muri, un letto grande, un frigo ancora più grande, una lavatrice con dentro un acquario e un tappeto a dare un tono all'ambiente.
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