giovedì 17 giugno 2010

Tempo e pace.

Portami a bere dalle pozzanghere perché siamo cambiati così tanto che forse non ci riconosciamo più. Che quello che poteva essere un nostro vanto e un punto d'orgoglio è diventato un chiedersi cosa manca; o forse è solo che a un certo punto, uno si stanca di passare sempre dal via. Sono momenti in cui mi cerco ai margini delle foto, venuto per sbaglio, fuori fuoco perché il fuoco è a qualche metro da me e io al massimo sto guardando l'orizzonte e sto pensando cose che adesso non ricordo ma che di sicuro non dimentico.
Quell'aria di incoscienza e scie di gioventù prese sempre un po' di taglio. Mentre mi parlate di quando truccavate i motorini e scappavate alla polizia, e io sorrido ma mi faccio serio perché è l'unica fase in cui le distanze sembrano ancora più distanze, perché sono gli anni in cui qualcuno è al liceo e si sente grande e qualcun altro è ancora alle elementari e non è altro che un pulcino. O poi uno attacca l'università e si sente ancora più grande e l'altro è imbarcato in un turbinio ginnasiale di versioni di greco e imperi ai limiti del collasso. Ma lo scarto tra elementari e liceo è molto più ampio rispetto che tra superiori e università, anche se gli anni sono sempre quelli. O così mi sembra.
Siamo così e un po' anche ci siamo imborghesiti, mentre mi massacro un'unghia e scivola il dito nella bocca e adesso sento il gusto dolciastro del sangue mischiarsi alla saliva. Quella che era diventata una terapia adesso è diventata una rubrica. Quello che sono io, sono i primi due minuti e mezzo di Tempo e pace di Roberto Angelini, come ammettere che ogni mio sforzo è vano, di sostituirmi con una batteria elettronica di reason. Perché poi? Perché faccio una fatica immane dopo dieci anni a riuscire ad accordare decentemente un rullante? Perché voglio mi hanno insegnato che non si dice ma si dovrebbe dire vorrei e invece io voglio punto? Mentre penso ai giri in macchina e a tutte le volte che abbiamo sbagliato strada perché parlavamo d'altro, e alle mie ricerche inutili e inaspettate sulla vita di Marlene Dietrich, perché mi andava di scrivere marlene dietrich su google. Perché vogliono bandire la Nutella e allora aspettatevi le barricate in piazza visto che ci si mobilita per questo e non quando ci vogliono mettere un bavaglio alla bocca. Senza fingere più di tanto tra l'altro. Come certe facce di certe farmaciste.
Come certe mail, che chissà se capiterai ancora di qui ma a differenza di quello che t'ho scritto spero davvero di ricevere una risposta, e mi piacerebbe infinitamente che fosse una bella risposta. Perché sono fatto così e sposto l'asticella del rischio sempre un po' più in là, fino a quando all'ennesimo salto magari scivolerò miseramente sotto e non la vedrò nemmeno oscillare per lo spostamento d'aria. Perché è così inutile a volte girare attorno. Perché un bicchiere d'acqua in faccia è più diretto, ma ze ben? Come giocare sui messaggi che non ci scriviamo. E le soluzioni stilistiche sono sempre meno come le mie facce di riserva, e quindi alla fine ho finito le facce e faccio una faccia ftriste.
In attesa, a chiedermi se la vita è un sogno o se sognare aiuta a vivere. No, scusate, questa cosa qui non è assolutamente vera, questa cosa non me la chiedo e non me ne frega assolutamente nulla, questo è solo un po' di me che se ne va palesemente fuori controllo e non ci faccio caso e lo lascio scrivere. Quello che so è che discutevamo di quanto schifo fanno le case qua a pochi metri dal mare, che sono venute su a caso, casermoni inutili, da affittare nella stagione estiva. Che bisognerebbe fare come in america e buttarle giù e tirarle su di nuovo. E lanciando il mozzicone di sigaretta dal quarto piano abbiamo pensato ai quadrati di facebook che hanno rotto i coglioni ma abbiamo pensato anche che le cose stanno così e sono costanti, solo a 'Marina. Invece oggi correvo in bicicletta scansando i tombini e stavano buttando giù una casa, quattro o cinque vie dopo la mia. Allora magari se ci crediamo forte, le cose succedono.
Perché, come dicevamo, la rive gauche più che un luogo fisico, è un concetto. E' un'idea.

lunedì 7 giugno 2010

Questione di secondi (e di coincidenze).

Per un secondo mi sono bloccato davanti all'username per entrare in questo blog. Non me lo ricordavo. Per un secondo mi sono bloccato davanti ad un commento che non avevo assolutamente visto. A chiedermi il perché, che insomma, sono sempre stato molto più preciso di quanto mi riscopro d'essere ora. Ora che continuo ad arrivare in ritardo come quando sono puntualissimo e il naso comincia a sanguinare ferocemente inondando la camera e imbevendo fazzoletti e mia madre il giorno dopo mi chiede che è successo e io le rispondo tranquilla dev'essere stata tutta la cocaina che ho tirato nel weekend e realizzo che sorride ma che non ha capito fino in fondo quanto stia scherzando. Ma pazienza, intanto mi blocco per dei secondi lunghissimi guardando l'angolo di una calle e pensando cazzo io la bici l'avevo parcheggiata lì e la bici cazzo non c'è. E poi sbucano dalle finestre le comari che mi raccontano una storia incredibile di urla per la calle e calci alla bici e lanci di bici e loro che la salvano e insomma tutto si risolve nel migliore dei modi anche se ci sono voluti dei cocarum da ometti. Quelli che hanno più il colore del rum che quello della cocacola.
Poi cosa dirti chiusi per tre giorni in una casa nel nulla a condividere le sigarette e delle canzoni da registrare. A sconvolgerci i pomeriggi senza rendersene conto, passando dalla cucina ad una sala tutta microfonata nel giro di una porta. Ad andare a letto e poi a tirarsi su per bere l'ultima birra. Che poi diventa mezza bottiglia di rum. Abbiamo scoperto che esistono dei cannoni per allontanare le nuvole basse, quelle che portano la pioggia. Ma non abbiamo voluto scoprire la reazione dei vicini che quando piove si beccano una razione doppia, probabilmente. E anche lì mi sono bloccato saranno state le tue parole che non capivo sarà che davanti avevo un vigneto bellissimo e il sole saliva piano e avevo un bicchiere di vino bianco freddo in mano. O ritrovarmi in tutt'altra situazione a girare da solo per le strade di Ferrara a dare una geografia a molti posti che conoscevo ma che non riuscivo a mettere in ordine. Come le vie strette dove regna un silenzio di tomba, anche se sei a trenta metri dal Duomo. A discutere di Dosso Dossi del palio che in realtà non lo conosce nessuno e degli americani. Quelli da bere.
Non rileggo ma ci penso e questo è un post da alcolizzati, che parlo quasi solo delle cose che ho bevuto. Forse dovrei solo preoccuparmi un po'.
E poi basta, che gli incisi bloccano i flussi di coscienza e continuiamo ad appuntarci troppo poche cose e a sperare che la memoria mantenga tutto il resto. Ma la tua mail me la ricordo, che poi è l'evoluzione di quel bigliettino arancione di qualche post fa che adesso che tutto si è compiuto capisco di aver volontariamente drammatizzato. Non nel raccontarlo o nel pensarci, nel viverlo proprio. Che tutto si poteva ottenere con meno pathos con meno macchinazioni, con meno. Ma sono cose che ti fanno sentire un po' più vivo, e ogni tanto quando ti senti tutto intorpidito sono le cose che ti salvano un po' le giornate. Come mi ricordo i tuoi messaggi, che alcuni pensi si fermino sul display del nokia e invece schizzano fuori e poi entrano dentro attraverso gli occhi. E so che qualche volta anch'io mi ricordo come si fa. Mentre andremo a prendere l'ultimo bicchierino saltando tra il selciato e dicendoci frasi che non posso dire. Ed è un peccato perché la frase che avevo in mente ci stava davvero bene. Ma è troppo presto.
E ho smesso di fumare. No, non è vero. Ma continuo a non spiegarmi perché dopo una pizza fumo quattro sigarette e poi magari il giorno dopo non ne accendo una fino a sera.


Invece, adesso, una sigaretta me l'accendo.