Adesso che siamo qui ed è lunedì mattina e l'america è lontana anzi lontanissima abbiamo trovato il tempo di sorridere. Non sopravviveremo a questa città e forse neanche alla prossima partita di calcetto, non sopravviveremo agli orologi biologici e ai direttori artistici, che non avranno nessuna pietà di noi e ci diranno che la pensione ce la possiamo sognare. E sogneremo altri voli in bicicletta, parcheggiati sotto un poggiolo per un'ora abbondante mentre piove governo ladro e le strade diventano fiumi e il moto ondoso delle macchine ci accarezza i piedi. E i fulmini esplodono dentro i miei occhi. E sono bianchi come la pelle in qualche giorno tetro di novembre quelli in cui scusa c'ero dieci giorni al mese. Dentro qualche teatro o in qualche giardino di qualche castello, come Xabier Iriondo e le sue chitarre distorte e l'esserci nel momento giusto. Dopo tutte quelle volte che siamo arrivati troppo tardi, come anche questa volta, in effetti. Come le formiche che sembra abbiano infestato casa, costruiranno un esercito e ci costringeranno ad emigrare, ma abbiam detto che l'america è lontana anzi lontanissima, e allora abbiamo poco tempo per tirare su un piano b che sia moderatamente decente. E puoi illuderti, ma l'estate è già finita. Faremo qualche altro giro per le calli a schivare i motorini parcheggiati ovunque, a prenderci il vento e a perdere i tasti del telefonino. A incatenarci per un paio di giorni. A contare le stelle molestati dalle onde dei barchini. Puoi illuderti, ma so che non lo farai.
1 commento:
le città viste dall'alto mi ricordano i viaggi nello spazio.
l' attimo in cui le macchine, i palazzi, le nostre giustificazioni cessano di essere quello che sono.
e diventano macchie.
e poi punti.
e poi niente.
assolutamente niente.
(ricambio l'abbraccio, in barba alle minacce-di-morte.)
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