lunedì 4 febbraio 2013

Ho tutto in testa ma dopo le sette non ho voglia di dirlo.


Hai ragione tu, che una volta era più bello quando avevamo più tempo per le nostre cose, per scrivere di niente o di qualcosa. Quando si potevano gestire i pomeriggi infilandoci dentro riflessioni e cripticismi, quando c'erano gli anni dell'università e i miei sogni sbilenchi, quando andavano i blog che non ho mai aggiornato l'età ed il gruppo, che i Blake/e/e/e non ci sono più da un bel po' e non ci sono nemmeno più gli anni segnati nella biografia, o quella cosa lì. Ma non cambio niente, che tanto è inutile, che l'ultima volta che sono tornato qui ero bruciato dal dispiacere di aver visto sfumare in modo assurdo un matchpoint per uno scudetto arrivato la settimana dopo. Che ne abbiamo parlato ieri sera di cosa fa il calcio alla gente e di cosa fa la gente per il calcio, che alla fine è un oppio tanto quanto una religione. E tanto quanto una religione perde credibilità all'aumentare dei soldi che ci girano attorno, ma è difficile come poche altre cose dire non ci credo più. Mica è babbonatale, mica abbiamo sette anni. E se cresciamo e certe cose non riusciamo a farcele cambiare, significa che le cose stanno così e che non cambiano, nonostante tutto, nonostante noi. Mentre aspettiamo l'apertura delle scommesse sui suicidi in Brasile se i giocolieri verdeoro perderanno il mondiale tra le mura di casa, come nel 1950.
Come ti sto dietro nelle domeniche bolognesi a sbirciare nei negozi, io come mille altri uomini dietro alle proprie donne, tutti con la faccia un po' stranita e un po' seccata, tutti così umanamente vicini quando ci si incrocia con gli occhi e ci si sente parte di uno stesso destino, che si declina in molti modi ma che ci condanna ad aspettare l'impareggiabile offerta del 70% di sconto.
Come mi sto sul cazzo se penso a quello che mi sono perso e a cosa ho lasciato andare, per rincuorarmi con quello che sono diventato che magari non è niente o forse è già qualcosa. Come mi sfinisco davanti a pagine bianche che diventano piene a comando, come le deadline che non rispetto perché bisogna riequilibrare le vostre deadlines che non rispettate mai. Tu non lo credi ma io lo so, e lo so bene, che ogni tanto mi fermo e penso a ciò che era e ciò che è adesso, a queste mattine e questi pomeriggi così diversi da somigliarsi tutti, anche passando di regione in regione e di treno in treno, che i treni sì che sono sempre quelli, anche cambiando le destinazioni e le stazioni centrali.
Come alla fine mi sono messo seduto a costruire questa piramide di lego, fatta di comunicati di mail di telefonate fiume di conversazioni skype incrociate e di citazioni rubate, e dell'odio che ogni tanto provo per voi, chiunque voi siate, qualunque cosa voi stiate facendo in questo momento. E ci sei tu e ti ricordi quando ho cominciato, più o meno, quando ci osservavamo da distante mentre adesso se siamo distanti sentiamo che ci manca qualcosa. Ecco, se è cambiato qualcosa, è cambiato questo, è cambiata la distanza che determina la sensazione di mancanza tra me e te.
Com'è cambiata la distanza tra me e i miei talenti, ma se dico talenti magari si pensa a chissà che cosa, e invece realizzo che nello specifico i miei talenti adesso sono una capacità appena sopra la media di dare un senso ad un numero casuale di parole, e quindi chiamiamoli pure talenti come quei nove nelle versioni di greco che a rileggere la brutta copia erano dei quattro sicuri. Quelle cose sgrammaticate che funzionano perché nonostante tutto hanno un senso, che bastano un po' di correzioni al volo per farle luccicare, finalmente. Come le recensioni che copiate e che ci ridiamo su, che alla fine mi sono giocato anche Tondelli ma non è la prima volta che mi prendono una frase e magari a qualcuno è servita più che a me. Magari per descrivere al meglio il casino di certi incroci, che per me quando ne scritto era l'anarchia tra via Palagi e via Massarenti, e per te chissà cos'era. Ma alla fine, con tutte le cose che vi ho rubato io, possiamo anche dire che siamo pari. Come cominciare due comunicati allo stesso modo e non rendersene conto fino a quando appaiono uno di fronte all'altro, distanziati giusto da un ventaglio di imprecazoni.
Vedi la cosa bella di scrivere qui e di rileggere pochissimo è che i fili logici e i metodi scientifici non servono a niente, appesantiscono i flussi che troppo spesso non riesco a fermare e che emergono appena sotto la pelle quando si è distesi a letto da minuti che diventano ore e non c'è niente per farseli andare via. E non c'è un foglio e una penna e nemmeno il computer acceso, che adesso alle sette della sera quando smette di fischiare la ventola del mac mi sembra di respirare un po' meglio. Ho tutto in testa ma dopo le sette non ho voglia di dirlo.
E la cosa bella di scrivere qui è che fondamentalmente non me ne frega più niente, e come sempre quando non me ne frega niente inconsciamente ci torno, come forse hai ragione e inconsciamente mi piace lavorare con gente che non sta bene. Ma ho imparato, come in quella dedica da papa apocrifo che ancora conservo, che certe cose si fanno fondamentalmente perché bisogna avere fede, qualsiasi cosa voglia dire. Perché anche se abbiamo lasciato un po' tutto incompleto e me ne dispiaccio un sacco, se ci crediamo forte le cose succedono.
E in fin dei conti, adesso sono nella famiglia, adesso non ho bisogno di te che mi perdoni (questa è rubatissima, come molte altre cose, sia chiaro), adesso mi guardo indietro e sono passati anni e mi guardo avanti e mancano pochi minuti alle sette. Adesso che avevo un pensiero bellissimo ed è bastato l'ennesimo rumorino standard di skype per farmelo perdere ed era proprio qui, cazzo.
Adesso che non devo per forza trovare un senso alla mia passione per il calcio, alla bellezza di certe parole che suonano così bene una accanto all'altra, alla bellezza anche di una certa scrittura istituzionale.
All'assurdità di essermi svegliato con la paranoia di te che mi dici che una volta scrivevo più per me che per gli altri ed era bello, e di non finire le millesettecentocose che mi ero segnato di fare. Alla finele cose da fare erano molte meno e le ho finite molto prima. E mentre ti aspetto, mentre conto i passi che ci distanziano, mi ritrovo qui. E sorrido, come ritrovarmi in un posto in cui una volta ci passavo molto tempo della mia vita e che di colpo senza ragione ho smesso di frequentare. O forse perché erano emerse così tante ragioni per non tornarci più.