Poi ripenso a Trieste e alle sue vie in discesa piene di lavori in corso. Alla cassa della batteria che la vedo rotolare allegramente e che la vado a riprendere una trentina di metri più sotto. Alla cassa della batteria e al mio fegato e a mia madre quando le parlo del tempo. Della pioggia e degli anni che passano. A chiedersi se sono nati prima certi bar o le persone che ci bevono dentro da trent'anni. Mentre mi racconti di una mano a poker di venticinque anni fa, quattro re contro una scala reale e la possibilità di tornare a casa con una casa in più. E io ti racconto di quando venticinque anni fa non possedevo neanche quel briciolo, diciamo, di materialità per poter piangere mangiare riempire i pannolini dormire. Produci consuma crepa.
Cambia registro, scrivi in cinque minuti quaranta cartelle dopo che per quaranta giorni hai scritto cinque righe e ne hai cancellate tre e una ci hai pensato un po' e poi l'hai lasciata per non sentirti troppo inutile. A dirsi che scriviamo al computer perché ci siamo disabituati a usare la penna e dopo due minuti cominciano a venirci i crampi alla mano. E generalmente abbiamo una grafia troppo indecente che a volte non capiamo neanche noi cos'abbiamo scritto. Che poi sul più bello finiscono i fogli e allora cominciamo a scrivere ovunque anche negli angoli delle strade e una volta ho finito una frase dipingendomi le braccia.
Mi dici ti vedo un po' svampito forse ultimamente ti stai facendo un po' troppo e io ti rispondo ma che cazzo dici e intanto mi dimentico dove abiti, e intanto abbatto le biciclette parcheggiate,e intanto è una cosa che penso anch'io.
Bisogna essere liberi e democratici e i discorsi di Pertini che valgono più di una bandiera attaccata al rovescio per festeggiare un compleanno che non sentiamo nostro. Come festeggiare i quarantanni anche se vorresti spegnere quindici candeline in meno. Bisogna capirci quando i tuoi respiri sono troppo cadenzati e quando ti sfioro ma non riesco a toccarti mai. Quando ti saluto ma non mi stai guardando.
Come quando mi telefoni per chiedermi com'è andata la serata perché dalle nove della sera alle nove del mattino dici hai un piccolo vuoto di memoria.
E tutti i miei tu che sembrano un telefono occupato.
Perchè siamo così bravi ad eludere i buttafuori e a deludere i gestori, che quindici euro sono troppi per un tributo e per scansare le sigarette che mi tiri dietro. Che ci siamo conosciuti così e lei non ci crede e invece ti ricordi ero uno sbarbo pieno di sogni di gloria. Mentre adesso mi si dice che sono cattivello e che quindi il mio giudizio non è da sottovalutare.
Poi ripenso ai miei cachet ridicoli quando suonavamo per venti euro, quando vigevano i prezzi imposti dei biglietti, quando a Vigevano ci ricordavamo di qualcuno che non vediamo più da ventanni ma che forse abita ancora qui. Quando siamo troppo uguali a quegli ideali sconfitti che sembrano certi libri di Wu Ming.
Quando ho sognato che eravamo io e Fiorenzo sul palco dell'Estragon e si era inceppata la macchina del fumo e sembrava di stare in un pomeriggio autunnale nella campagna dietro la salaprove. E finiva il pezzo e c'erano quattro vecchi seduti su quattro sedie in mezzo alla sala deserta. Che ci applaudivano e ci chiedevano il bis. Pensa che non ho avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno e poi l'ho scritto qui.
Qui che tra un paio di minuti saremo a Rovigo e un po' mi prende male.
E ho finito i fogli.
Cambia registro, scrivi in cinque minuti quaranta cartelle dopo che per quaranta giorni hai scritto cinque righe e ne hai cancellate tre e una ci hai pensato un po' e poi l'hai lasciata per non sentirti troppo inutile. A dirsi che scriviamo al computer perché ci siamo disabituati a usare la penna e dopo due minuti cominciano a venirci i crampi alla mano. E generalmente abbiamo una grafia troppo indecente che a volte non capiamo neanche noi cos'abbiamo scritto. Che poi sul più bello finiscono i fogli e allora cominciamo a scrivere ovunque anche negli angoli delle strade e una volta ho finito una frase dipingendomi le braccia.
Mi dici ti vedo un po' svampito forse ultimamente ti stai facendo un po' troppo e io ti rispondo ma che cazzo dici e intanto mi dimentico dove abiti, e intanto abbatto le biciclette parcheggiate,e intanto è una cosa che penso anch'io.
Bisogna essere liberi e democratici e i discorsi di Pertini che valgono più di una bandiera attaccata al rovescio per festeggiare un compleanno che non sentiamo nostro. Come festeggiare i quarantanni anche se vorresti spegnere quindici candeline in meno. Bisogna capirci quando i tuoi respiri sono troppo cadenzati e quando ti sfioro ma non riesco a toccarti mai. Quando ti saluto ma non mi stai guardando.
Come quando mi telefoni per chiedermi com'è andata la serata perché dalle nove della sera alle nove del mattino dici hai un piccolo vuoto di memoria.
E tutti i miei tu che sembrano un telefono occupato.
Perchè siamo così bravi ad eludere i buttafuori e a deludere i gestori, che quindici euro sono troppi per un tributo e per scansare le sigarette che mi tiri dietro. Che ci siamo conosciuti così e lei non ci crede e invece ti ricordi ero uno sbarbo pieno di sogni di gloria. Mentre adesso mi si dice che sono cattivello e che quindi il mio giudizio non è da sottovalutare.
Poi ripenso ai miei cachet ridicoli quando suonavamo per venti euro, quando vigevano i prezzi imposti dei biglietti, quando a Vigevano ci ricordavamo di qualcuno che non vediamo più da ventanni ma che forse abita ancora qui. Quando siamo troppo uguali a quegli ideali sconfitti che sembrano certi libri di Wu Ming.
Quando ho sognato che eravamo io e Fiorenzo sul palco dell'Estragon e si era inceppata la macchina del fumo e sembrava di stare in un pomeriggio autunnale nella campagna dietro la salaprove. E finiva il pezzo e c'erano quattro vecchi seduti su quattro sedie in mezzo alla sala deserta. Che ci applaudivano e ci chiedevano il bis. Pensa che non ho avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno e poi l'ho scritto qui.
Qui che tra un paio di minuti saremo a Rovigo e un po' mi prende male.
E ho finito i fogli.
4 commenti:
Obietto che la sindrome del vascobrondismo ci ha contagiati un po' tutti, e non so te ma io non riesco più a scrivere niente che non sia impregnato di quello, e allora davvero forse è meglio usare il Polygen.
f.
sono clamorosamente in disaccordo, anche se non so se riuscirò a trovare le parole migliori per argomentare la cosa. ci provo lo stesso, magari qualcosa di sensato viene fuori lo stesso.
allora, credo che vasco sia diventato quello che è diventato per le canzoni che scrive, soprattutto per come le canta e per come le ha portate in giro in questi anni, e non per il blog o per il libro. mi auguro che nessuno pensi che vasco sia un blogger, e concedo alla sbarba più innamorata di considerarlo uno scrittore da cui prendere spunto. quindi, che sia involontariamente diventato il cantore di questa generazione di sconvolti (cit.) mi sembra sacrosanto, perché secondo il mio inutile e confutabile parere le luci della centrale elettrica è il progetto musicale più bello e significativo dell'ultimo lustro (e non solo), ma se quando scrivo dovessi pensare a schivare questo fantomatico vascobrondismo, allora andrei a pesca.
Non era nemmeno lontanamente una critica, anyway (scrivi bene, mi piace leggerti), ma solo una più o meno amara constatazione estendibile anche a me, che pure considero Le luci una delle cose migliori che ci potessero capitare. E non era nemmeno un'ammonizione a schivare il vascobrondismo: ognuno scrive quel che gli pare e come meglio crede, e anzi è così confortevole trovare dei vestiti letterari comodi nei quali avvolgersi... E' solo che io, quando mi rileggo, ho proprio l'impressione di subire un influsso che va al di là delle mie intenzioni, e che ha reso la mia scrittura troppo inutilmente simile alla sua. L'urgenza e la sintesi hanno spezzato il mio tipico periodare un po' barocco in un singulto sincopato di frasi nominali, ed è come se non riuscissi più a riavvolgere il nastro.
La stessa impressione di somiglianza l'ho avuta imbattendomi per caso in questo blog.
Io ovviamente non penso che V.Br. sia solo un blogger, né uno scrittore in senso pieno, ma indubbiamente le sue canzoni sono la cosa più torrenzialmente verbosa che sia apparsa in questi tempi minimal-stitici. A me restano in testa le sue parole, più che le sue chitarre; le sue combinazioni ingegnose, il suo saper produrre un accumulo di senso con delle immagini scarnissime, buttate là senza troppi ghirigori. Per me, oltre la musica che fa da veicolo e da canale per "arrivare", V.Br. è una cosa che ha a che vedere con la letteratura, nel suo significato più alto. Ecco perché non mi si scolla di dosso (e c'ho messo anni pure per scollarmi di dosso Strategie).
At salut.
f.
avevo scritto una pappardella di mille righe, che si è cancellata al momento di pubblicarla. dannato blogspot. ci riprovo.
allora, il mio umile pensiero è che se vb si fosse limitato a scrivere i suoi post e magari a declamarli in qualche circolo letterario, avrebbe fatto un decimo della metà di quello che sta facendo. i quattro accordi di chitarra che ci mette sotto, sono quelli che amplificano la portata delle sue parole. anche solo come "mezzo".
e prima di lui ce ne sono stati infiniti altri, anche molto più "grandi", mi viene da pensare a fossati che accompagna delle parole che trovo illuminanti con della musica eseguita sì dai più famosi turnisti, ma che suona sempre così superficiale.
poi, altra cosa, gli influssi sono naturali, sono sacrosanti e sono penso insiti nell'uomo quando questo si emoziona di fronte a qualcosa. e come vb può influenzare molte persone, penso che altri abbiano influenzato lui e noi, e penso a gadda, a tondelli, a pazienza, ai cannibali. chi più chi meno. il fascino della musica e della letteratura, nello specifico è anche questo, perché tutti almeno una volta hanno rivoluto le proprie ali nere e il proprio mantello, o si sono sentiti come il soffitto di una chiesa bombardata (citazione di una citazione, tra l'altro). quando questa naturale influenza diventa una scopiazzatura, allora diventa inutile e sbagliata, e mi viene in mente un passaggio raccontato da vittoria burattini nella biografia dei massimo volume: "venne fuori gente che scriveva racconti sulla falsariga di mimì. gente che usava gli stessi artifici , ma in modo bolso (...) tipo il semaforo continuava ad andare sempre nello stesso modo: giallo, verde, rosso".
ma capita anche questo, e capita anche che il fenomeno più lucente del momento finisca per diventare l'unico metro di paragone possibile (se mai ne servisse uno), per qualsiasi cosa che abbia più o meno lontanamente una qualche affinità. e perdona la deformazione professionale, ma ti posso portare l'esempio del teatro degli orrori, per cui adesso qualsiasi gruppo che prova a dire qualcosa in italiano provando a dargli un senso compiuto, e sotto ci mette della musica più tirata della solita solfa cantautorale, allora li emula. semplicemente, non ha senso.
nel mio inutile caso, questo blog è nato come un divertissement, è cresciuto con il tempo e con le cose che mi sono capitate più o meno per sbaglio in questi anni, e per questo non mi sono mai posto veramente il problema di essermi fatto o no influenzare. davvero, se dovessi trovare la mia scrittura "troppo inutilmente simile alla sua", allora davvero diventerei un pescatore provetto (poi la smetto con sta storia, ma a pescare in vita mia ci sono andato una volta sola...). queste righe si portano dentro molte citazioni, molti autori che apprezzo e ammiro, ma non ha padri o fratelli maggiori (un padre ce lo avrebbe anche avuto, ma grazie a dio siamo diventati grandi...).
per terminare questo sunto che è diventato comunque una pappardella infinita, l'unica cosa che davvero mi sconvolge delle parole di vb non è tanto la forma brevissima e destrutturata, che se vuoi è figlia proprio di quella urgenza di cui parlavi tu, ma è la quantità sterminata di contenuti e di situazioni più o meno ordinarie che racconta, che a volte genera un sentimento di appartenenza quasi tribale, ma altre sembra rubarti dei pezzi di vita. ed è proprio per questo che le luci della centrale elettrica sono così cangianti.
Posta un commento