venerdì 4 marzo 2011

E tutte quelle cose che non ci hanno detto.

Ti ho visto seduto nell'unico vagone ancor prima di cercare un'obliteratrice funzionante in tutta la stazione di buttare la sigaretta tra i binari e di salire sul treno. E mi sa che te ne sei accordo anche tu, di chi c'era oltre il finestrone. Erano anni, che non ti vedevo. Abbiamo auspicato di prendere le nostre strade e di non salutarci più. E' passato più di un lustro, ora che siamo prossimi ai cinque e quindi possiamo conteggiare così. Dopotutto c'è stato un tempo in cui conteggiavamo i cachet dei concerti in piastrelle. E proprio per il tempo che è passato, per tutti quei fili che abbiamo tagliato dando fuoco ai libri di greco e di scienze della terra, che mi sono ritrovato seduto nella fila di fianco alla tua, con te nella solita postura da giovane terribilmente vecchio, le gambe piantate, il corpo leggermente in avanti. Odioso quanto la postura che ho assunto io, più rassegnata, meno sbruffona di un tempo, o forse di più. E ci concediamo un resoconto fulmineo di questi cinque anni abbondanti, per ritrovare, senza capirci bene il perché, che nelle nostre strade diverse in certi guadi eravamo entrambi finiti con i polpacci in acqua. Che ci siamo portati dietro e dentro delle cose che ci hanno segnato entrambi, anche se non le avevamo colte quando ce le avevano dette, spinte dentro a forza. E tutte quelle cose che non ci hanno detto, soprattutto. Così cambiano i treni e si trovano le coincidenze, ritrovo la tua ipertensione per le cose più abitudinarie, avrai ripensato a quando a ragione non ci sopportavamo, ma sembrano cose dimenticate in una soffitta e ritrovate troppo impolverate per attribuirci ancora un qualche valore. Mentre le distanze si accorciano fino alla prossima stazione. Piuttosto che augurarci sedicenti e reciproche fortune, mi ragguagli sul dove fanno la cocacola e che nonostante anni da accaniti peccatori bisognerebbe redimersi e zuccherare qualche altra acqua, e ci stringiamo la mano con quel tono cerimoniale che fino a qualche tempo fa avremmo pensato fosse il marchio ineludibile della vecchiaia e che invece ti accorgi che è la mossa definitiva. Quello delle piastrelle di prima direbbe una virile stretta di mano. E poi, in fondo, lo sappiamo tutti che sei sempre stato vecchio.
Arrivando a casa l'autobus ha preso tutte le buche dalle due torri a mazzini, mentre scopro che il tramonto arriva molto dopo di quando avrei pensato. Sorrido.
Ci sono bottigliette vuote di cocacola ovunque, sul tavolo in cucina, sul divano, una in bagno. Rido. Mi accendo una sigaretta.
Rido più forte quando trovo l'ultima a separare i vinili dai cd.
Dici che a volte dovrei togliere l'iva alle cose che mi succedono per riuscire a vederle un po' meglio, per non provare a costruirci attorno una piramide con le carte solo per il gusto di tirarle fuori dalla scatola. Allora aspetterò i tuoi passi sulle scale, mentre con le bottiglie vuote e una inspiegabile pallina da tennis ho ammazzato il tempo, per un po'. Non avevo mai pensato quell'appartamento adatto per il bowling. Che è una pratica particolare, indubbiamente. Che poi ne parlava anche Moltheni, quando ne esisteva uno.

1 commento:

irene ha detto...

Ho letto tutto d'un fiato.
Uao.
Mi hai fatto pensare ad una cosa che avevo scritto anni fa, prima di lasciare casa. Io mi chiamo Irene (quindi il riferimento a Moltheni), inoltre scrivevo in uno spazio "strategie dell'apnea", come te. E questa riflessione sul come come si diventa estranei, tra l'amarezza ed una odiosa nostalgia. Mi hai fatto ricordare un momento della mia vita, nonostante tutto, felice. A presto.