giovedì 9 febbraio 2012

Alla fine sei tornata.

Ho passato una buona dose di tempo a pensare sul perché smetter di scrivere qui, che alla fine avrei potuto riempire una piramide di cartelle. Di impressioni, di cambiamenti, di accenni di barba, di vittorie di sconfitte di pareggi noiosissimi.
Perché una certa intimità è molto più bella da vivere che da raccontare, perché il limite tra cosa pubblica e cosa privata si è necessariamente spostato e non ho ancora avuto bene il coraggio di valutare quanto.
Mettiamo dentro che le ore hanno una conformazione diversa, adesso, che ci sono autobus da prendere alle 08 o alle 16 o massimo massimo alle 24, se proprio vogliamo permetterci tutto il tempo del mondo, mettiamo dentro che certe parole ingarbugliate finiscono in frasi troppo corte per avere una qualche funzionalità qui. E continuamente qualche io silenzioso mi impone di lasciar perdere i tempi morti presentandomi continue caselle da spuntare, perchè più che un io categorico è una specie di lavoro e più che una specie di lavoro al momento sono due.
Avrei potuto provare a descrivere come ci si sente a camminare con un eastpak pieno di moduli rossi da far compilare e le mani congelate e meno tre gradi in una città morta di viuzze scure e di campanelli staccati.
Avrei potuto provare a sedermi ancora su una batteria o dirti di sì ad una cazzo di jam session, ma non era il momento, non ancora. Questa cosa di prepararsi deditamente ad un ritorno è una cosa che non so definire, ma che parte dalla testa più che dalla sensibilità delle dita.
Sarà che davvero, ho paura nell'attraversare certi punti di contatto, come questo, dove le difese sono più basse, dove le difese sono assenti. Come quando ogni sera ti guardi allo specchio per capire se non sei più il ragazzino di un tempo. Quello timido che sragionava sul demo registrato in una camera con i materassi sulle porte e sulle finestre, sul compito di matematica che poteva andare meglio e lo si è capito quando la prof gli ha lanciato dietro l'astuccio di latta.
Ma davanti non c'è nemmeno un uomo, ci sono dei cambiamenti dati dalla voglia di farsi o non farsi la barba, al massimo. Allora volendo è troppo presto anche per rassegnarsi all'idea del calciatore che avrei potuto essere se fossi stato un po' più dotato e un po' più costante, che non l'ho detto a nessuno ma certi goal, certi passaggi impossibili che poi si vincevano le partite, certe esplosioni di gioia e di rabbia e di adrenalina pura, me li sogno ancora come se li avessi vissuti ieri. Avrei dovuto essere anche molto più veloce.
Sarà che sto leggendo la versione di Barney ma capita anche a me di perdermi nei discorsi, solo che lì scriveva un malato di alzheimer con quasi settanta anni di vita da raccontare. Tipo ieri sera.
Mi hai detto che la laurea cambia le persone, anche se abbiamo riempito lo spazio eterno tra una pizza e un dolce per scannarci nel dire tutti che queste lauree sono ridicole. Io ovviamente non ti ho creduto e penso di non aver nemmeno nascosto la cosa più di tanto. Credo in qualcos'altro, credo sia qualcosa che viene più dal fegato che da un pezzo di carta e da una cicatrice che porterò per sempre e che ogni volta ti stupisci di quanto sia profonda. Però qualcosa è cambiato, se ci crediamo forte e se ci sbattiamo fortissimo le cose succedono. A volte non è giusto, la mancia è misera, ma è così. Forse per questo non abbiamo tempo, che è un motivo che ritorna spesso in questi anni ma adesso è così davvero.
Non mi hai detto che a casa siamo sempre di più e la cosa non è nemmeno così ingrata, che abbiamo una caffettiera nuova e le scorte di pasta e di pastiglie per la lavastoviglie. Viaggiamo su questi silenzi che non ci fanno stare male, al massimo bestemmiamo sottovoce fumando una sigaretta dietro l'altra per i chilometri che ci dividono tra Milano e Bologna, dividendoci tra la voglia di arrivare a casa prima che faccia giorno e la necessità di arrivarci interi.
Non mi ricordavo quando saresti tornata, ma sei tornata e mi hai chiamato subito, e all'inizio non ti ho nemmeno riconosciuto. Colpa del telefono che non prende e della neve, ancora. Pensavo fosse una cagacazzi del censimento.
Così mi ritrovo qui, a collezionare regalini presi negli autogrill, a pensare che non siamo poi così lontani. Che dopo aver migrato per le poste e le filiali di unicredit e la coop sempre più razionata "causa abbondanti nevicate su tutto il fronte emiliano", alla fine sei tornata. E ora non mi resta che tornare anch'io.

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