lunedì 31 gennaio 2011

Del tempo.

Poi mi dirai che non ci sarà più tempo. Nemmeno quello che amministriamo qui, tra un viaggio e l'altro. Dovremmo fotografarlo, il tempo. Dovremmo fotografarci adesso, per ricordarci tra vent'anni. Quando tutto questo sarà finito e i baroni se ne saranno andati. Quando i professori ci risponderanno alle mail. Quando proveremo ancora tutti i giorni e ancora tutti i giorni non ci peserà. Quando non avremo più freddo.
E allora ci sarà qualcos'altro per cui lamentarsi, ci sarà un'altra battaglia, un altro libro proibito, un altro scandalo. Fortuna che una Juventus peggiore di questa significherà solo smetterla di perderci tempo a sperare che tutto torni normale. Perché questo è il dramma dello juventino, l'idea che quello che sta succedendo sia una parentesi, che passerà come passano gli inverni. Che l'Inter tornerà a comperare sedicenti fenomeni sudamericani, per una qualificazione tranquilla in Europa Leaugue. Che torneremo a gioire per i gol di un attaccante vero, che forniremo la squadra per i prossimi mondiali, non che pezzo per pezzo ci compriamo la squadra che li ha vinti cinque anni fa. Questo, è il dramma, l'idea che ci sarà un tempo diverso, che le cose naturalmente torneranno a scorrere.
Dovremmo fotografarci ora, per vederci fra vent'anni. Magari mi sarà cresciuta la barba, e qualcuno ci avrà fisiologicamente lasciato.

lunedì 17 gennaio 2011

Sera sulla Karl Johan.

Come i quadri di Munch che hanno sempre qualcosa che stona. Un albero un volto un paio di baffi. Come noi. E le nostre sveglie ad orari improponibili per le gite fuori porta le domeniche mattina. Come i quadri di Munch e quegli occhi spiritati, e i quarantasette messaggi al minuto che ci si scambia per lamentarsi un po'. Di come stanno le cose ed è da tanto che le cose non stanno come vorremmo noi. Mentre la nebbia ci entra nei cappotti e tu svieni in macchina per un'ora abbondante.
Abbiamo trovato la camera di Napoleone e dei pesci giganti, fermandoci tra i quadri abbandonati da tutti gli altri visitatori. Che ogni tanto ci incrociamo tra una stanza e l'altra e un po' fingiamo di non conoscerci un po' ci abbracciamo.
L'arte è il sangue del proprio cuore diceva Munch.
Non parlare di corde a casa dell'impiccato dici tu.
Io non dico nulla e al massimo passo le notti con gli occhi sbarrati. Per ora noi la chiameremo felicità?

domenica 9 gennaio 2011

Dei ritorni.

Sabato, 8 gennaio 2011, pomeriggio.
Rovigo che città di merda. Dimenticati qui perché l'unico treno soppresso da questo pontelungo di epifanie di giovedì è il regionale storto che zoppica verso Chioggia. Il tabellone delle partenze non mente, dimentico di Chioggia e di quella littorina che potrebbero anche sopprimerla del tutto, così per evitarci il peso dell'illusione di esserci quasi arrivati, a casa. La stazione in mattoncini rossi uguale a quella di mille altre città italiane, uguale a quella di Ferrara, a quella di Arezzo. Solo che qui troppe volte ci sono rimasto bloccato, solo che qui il bar è chiuso anche il sabato. Lavorare con lentezza, non lavorare. Che ci viene da impazzire con l'ipod scarico e 54 di Wu Ming, che leggerlo per cinque ore di fila sarebbe umanamente troppo anche se è l'ennesimo libro della madonna, e la chiavetta internet prosciugata fino a domani, e tu che al telefono mi dici che potevo controllare, come fosse il primo treno che prendo in vita mia, e allora gli eco dei miei porcodio rimbalzano nel sottopassaggio fino a tornare indietro.
Mattoncini rossi e mi incammino a testa bassa sotto un cielo bianco, come quando scherzavamo sul venire ad abitare qui, che Rovigo è a metà strada tra tutti i posti in cui potremmo andare, così a metà strada che la stazione è lontana da tutto e da tutti, un monumento appassito all'alluvione del '51, un cinese che urla e sbadiglia seduto al mio fianco, un viale spoglio fatto di marciapiedi distrutti e alberi spogli e sconnessi. Sulle panchine del viale stanno capannelli di rumene che bevono birra di quinta scelta, vestite di grigio e di marrone. Sembra di stare in qualche città dell'est dimenticata da dio, una Zilina ancora più brutta dove la differenza sostanziale è la segnaletica che ci avrebbe portato ad Odessa, mentre qui al massimo potremmo finire a marcire ad Anguillara. Non che Sottomarina sia più originale. Sullo sfondo una chiesa che sembra fatta con gli stessi mattoncini della stazione, o viceversa, alla fine del viale. Attorno, davvero, il nulla. Magari ci si sbaglia ma lo spiazzo della chiesa sembra una rimessa per gli autobus. Rovigo che città di merda. Claudia fa pompini a dieci euro, così scrivono sopra i cartelloni pubblicitari sbiaditi, ci sono degli A4 appesi da qualche bambina innamorata dei 30 Second To Mars su autobus da imbastire per andarli a vedere in concerto, dei vecchi bruciano in uno spiazzo qualcosa che a giudicare dal fumo nero non sembra legno.
In tasca ho banconote di un taglio troppo grande anche per i distributori automatici di schifezze, così l'unica cosa che riesco a ingurgitare con gli spicci nel cappotto è una kinderdelice, e il thè fatto male fatto in fretta stamattina. Che ieri è stata una chimica continua, che ieri è tornata Marcella ed è stato un piacere scoprire di non saper ancora aprire con il citofono il secondo cancelletto d'ingresso. E abbiamo scoperto la magia dei Diaframma, che pensavamo fossero uno scherzo come i nuovi Litfiba, e invece quel Federico Fiumani lì ha dimostrato di saperla enormemente più lunga di tutti gli sbarbi su piazza, me compreso. Che scatta come un iperteso e si incazza per un finale mancato, che ad ogni inizio si blocca per dire qualcosa che non si sente e poi riattacca, che certi cambi tra strofa e ritornello sembrano modulati con una sega elettrica. Ma sembra di stare nell'88, gente impazzita, gente truccata, suoni cupi e creste nere. E Max Collini. Il futuro sorride a quelli come noi, stampigliato sulla schiena.
Arrivati alla chiesa si può optare per il nulla alla nostra destra e il nulla alla nostra sinistra, un distributore e un best western dai finestroni riflettenti. Un vecchio imbacuccato che sbanda in bicicletta. Sembra uno scherzo. Non sembra vero. Come quando mi fermi e mi saluti e mi dici ciao ti ricordi abbiamo fumato una sigaretta insieme al concerto di vasco a ferrara ti ricordi? E per me è un po' come scegliere se andare a destra o a sinistra davanti alla chiesa dai mattoncini rossi. E no, dispiace anche a me ma non penso suoneremo ancora assieme nei prossimi tempi o forse nei prossimi anni, mischiando frasi fatte a piccole verità che solitamente non si direbbero. Come se un calciatore dicesse cose che escono dalla sua testa e non dall'addetto stampa della sua squadra.
L'unico bar che incrocio di fronte ad un villino abbandonato, è chiuso. Non serve nemmeno bestemmiare che tanto non ci sentirebbe nessuno. Rovigo che città di merda, e non sono neanche le persone, perché di persone ne ho contate al massimo una decina. Padrone vieni a prendermi e ripenso a Fiumani e a quella stretta di mano cortese, un po' timida un po' scattosa, alle sigarette che ho perso chissàddove scalando in bicicletta il ponte di Stalingrado, o schivando il 19, o saltando le precedenze agli incroci.
Non ci sono negozi, non c'è nulla, c'è solo questo viale lunghissimo calpestato dagli autobus e dagli extracomunitari, padrone vieni a prendermi, e un cane che si rotola per terra è la cosa più viva che vedo da un paio d'ore. Come la controllora che nel mio vagone ha fatto tre multe ed eravamo in quattro, e come il cinese che si fingeva morto per non pagare. Come la controllora che stava per dirmi qualcosa sul fatto d'aver invertito le convalide di viaggio sul mio biglietto d'andata e ritorno. Come la controllora che si è fermata in tempo mentre staccava la terza ricevuta ad un tipo che non si capiva da che parte fosse voltato. Chi controlla i controllori, ci avremmo riso su, se ci fossi stata anche tu. Che Adria è comunque e inutilmente lontana, se non nello spazio, nel tempo che intercorre da ora al prossimo treno disponibile.
Rovigo che città di merda mentre la voce metallica degli annunci elenca tutti i treni tranne il mio, che fa freddo al cuore malgrado tutte le leccate e gli addii, come i tacchetti di Felipe Melo sulla faccia di un avversario. Come i maccheroni della madre di Gandolfi. Come i minuti che rallentano e questo futuro che più che sorridere, sogghigna.
Che Fiumani sembra un po' Vasco Rossi prima che si sputtanasse. Che io sembro un pazzo col mac e gli occhiali da sole e il sole che scende sulla campagna, in una sala d'aspetto che in realtà sono tre panchine piazzate a caso. Ed è vero, l'odore delle rose è una reazione chimica e se un giorno lo scoprissi non l'ameresti più. Ed è drammaticamente vero, che nel nulla del nulla tra best western distributori rumene autobus cani bestemmie e gole infiammate, io un cazzo di bar aperto non l'ho trovato in un'ora e passa di cammino. Rovigo che città di merda. E al primo rodigino polemico che passa di qui, non aspetto altro.
La cosa allucinante è che come sempre hai ragione tu, se avessi controllato, a quest'ora sarei già a casa. Rovigo che città di merda.

venerdì 7 gennaio 2011

Tartarughe

Un po' perché me lo hai chiesto tu, un po' perché il tempo passa. Un po' perché c'è poco da raccontare dell'anno che se ne è appena andato, che ci ha lasciato dentro un furgone pieno di persone e dei ritorni allucinanti, che ci ha lasciato vuote quelle caselle che prima alcune persone care occupavano. Che ci ha lasciato dei weekend indimenticabili e delle parentesi da cospargere di benzina. Un po' perché di cose ne abbiamo fatte troppe e abbiamo cambiato milioni di vite, solo che forse eravamo troppo occupati a puntare in direzioni diverse, tra mostri verdi e viaggi senza fine. Non ci piacciono queste batterie ma con queste casse il giudizio è incompleto. Non ci piacciono questi freddi e questi letti che tremano. Non ci piacciono le zuppe che bruciamo perché ci perdiamo a guardare fuori dalle finestre. Non ci dispiacciono quei concerti, quelle pedaliere, quei giri sbronzi in bicicletta fino a sbattere contro il garage di casa. Ti ricordi quando camminavamo in mezzo alla neve e al ghiaccio facendo i salti mortali per restare in piedi? E' andata più o meno così, è andata che abbiamo finito quella bottiglia di porto e sono rimasti quei giorni in cui tutto ci sembra finalmente incasellato. E' andata che ci prende un po' male anche quando passeggiamo per i portici o quando tentiamo di mettere in fila una serie spropositata di cose che in fila non ci potrebbero stare. Ma è questo che ci viene chiesto, insieme a quei dischi che registreremo, insieme a quella nomea di stronzo che avevo smesso perché mi dicevi che non era vero, ma adesso che non ci sei più ricominciano i dubbi in proposito. Come quando ci distraiamo un attimo e poi non ritroviamo il filo. Come quando non ci ricordiamo una canzone per mesi. Come quando avrei bisogno delle tue mani.