lunedì 23 novembre 2009

Hai visto che siamo bellissimi?

Una freccia d'argento da Roma a Padova costa sessantasei euro. E in tre ore sono a casa. Sarebbe una soluzione. Una soluzione contro le prime rughe, se mai me ne potesse fregare qualcosa, non c'è. Non nascondiamoci. Non nascondiamole. Incastriamo le mani. Gli occhi.

Funerali laici per i preti laici e libertà di parola per gli stolti. Mail ufficiose per documenti ufficiali. Paul McCartney che passeggia ventitrè anni dopo per le stesse strisce pedonali della stessa strada londinese ma la targa diversa del maggiolone parcheggiato a sinistra racchiude plurimi significati. Padova è stata questa. Mentre saltiamo su un regionale incerottati e claudicanti, che ci è scivolato il senso dell'equilibrio e del senno a giocare a calcetto la domenica mattina. Come uno stuntman mancato. Dovremmo farlo a quarantanni. Mentre ci diciamo che stiamo invecchiando e stiamo perdendo colpi ma tu no che sei gggiovane. E non è nemmeno colpa della gioventù bruciata. Che c'è stata un'ottima generazione di trentenni diventati autistici, di quarantenni diventati autistici. Dei cinquantenni e dei settantenni s'è già parlato troppo.
E non è nemmeno colpa di Hugo Race che ha suonato solo nel primo disco di Nick Cave e le chitarre riverberate sono di Blixa Bargeld. E' solo una questione di vivere i momenti, di chiudersi ore e ore in salaprove imprecando contro una drummachine e contro le pizzerie chiuse per lutto. Che se lo zio Toni fosse morto davvero, sarebbe stata la fine della pizza per come la si conosceva a Bologna.
A correre dietro a catene di suoni e di non-accenti e testate ai muri e sigarette fumate in quattro tiri.
Mi dici che non scrivo e hai ragione. Mi dici che non scrivo e mi dispiace. Mi dici che non scrivo e allora mi tiro avanti scrivendo in treno che le ferrovie non mi renderanno mai indietro le infinite ore lasciate a guardare fuori dal finestrino. Ad immaginare vite alternative e fortune alterne. Felicità a momenti, frighi pieni, sintetizzatori regalati. Cercando un filo conduttore che ogni tanto manca e si perde nella nebbia padana. Cercando un filo conduttore a frasi come amore mio la mia anima rispekkia che chissà cosa vuole dire. Tu e il tuo amore trenta chilometri dal confine italiano più vicino, grazie.
Organizziamoci le risposte pronte seduti a tavola, così sembriamo una famiglia omogenea e bellissima da mulinobianco. Non è colpa mia, siamo fastidiosi con la gente di merda. Siamo espansivi con gli amici. Siamo silenziosi con i conoscenti. Siamo tremendamente fascisti con chi pensa a Maldini come personaggio storico, con chi va a L'ondhon in vacanza, con chi crede la De Filippi una mecenate della musica, con chi dice che Moccia è il portavoce di una generazione. Generazione di teste di cazzo, io mi dissocio e mi guardo Funeral Party e se mi cercate sono nudo sul tetto di casa. Non so, magari anche fatto di LSD. Generazione di teste di cazzo, che ti ricordi, non ci credevamo quando abbiamo scoperto che l'esergo dell'ultimo libro di Moccia è una canzone di Ramazzotti.
Organizziamoci una settimana simpatica che non preveda cambi di regione coincidenze mancate pensiline di autobus treni di panna. Ci vediamo nel duemilaedieci allora, quando questi cazzo di anni zero saranno finiti e porteremo in giro il loro spettro o la loro evoluzione. Come dei testimoni. Per chi ne è uscito vivo e per chi ci è rimasto sotto. La valigia come emanazione del mio corpo, strumento del mio braccio. La tangenziale di Bologna che sfreccia sotto, Laurie Anderson nell'iPod, le telefonate della ragazza seduta di fianco con l'Amleto di Shakespeare in mano.
Restiamo solo noi. Hai visto che cielo c'era l'altra sera, la foschia e i colori sgranati? Il fumo della sigaretta e quattro parole appena accennate? Hai visto che riusciamo a ridere? Hai visto che siamo bellissimi?
E lo sai anche tu, che è molto più facile fissare i pensieri tristi. Che le cose belle le conserviamo con cura e ce le passiamo con gli occhi. Cosa vuoi scrivere delle nostre discussioni semiserie? Cosa vuoi scrivere delle nostre giornate? Cosa vuoi scrivere dei miei cambi di status da incazzato nero a incazzato nero ma con il sorriso?
Ed è sempre così, a costo di sembrare grigioni. La cena Riccardi-Davinelli-Sommacal-Boscolo. I conchiglioni ripieni e gli anolini la prossima volta. La bottiglia di morellino che abbiamo comperato assaltando la coop. La sonorizzazione al Leoncavallo che è andata bene e il concerto rock a Cuneo che è andato uguale. Come si descrivono?
E' troppo difficile parlare dei nostri sorrisi. Meglio il credito residuo del telefonino quando ho voglia di sentirti e la voce metallica della Vodafone mi dice che me lo posso scordare.
E cosa racconteremo, ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero.

lunedì 2 novembre 2009

Il periodo viola degli accendini.

Lasciamo Padova ai preti laici e al loro cinismo e alle loro oratorie da situazioncine parastatali, che sono sempre le stesse dal millenovecentonovantaquattro. Che stiamo male lo sappiamo già, ma piangerci troppo addosso lascia strascichi di vittimismo, deplorevoli. Le candele che bruciano d'acqua, gli occhiali con tre lenti, una risata contagiosa.
Lasciamo Padova a Padova e le nostre prime seconde volte, a Bologna. Lasciamo il sole che acceca lo schermo del cellulare e sbaglio i numeri di telefono e il mio ciao come va mi sa che ho sbagliato numero lo so ma faceva davvero schifo. Le settimane lunghe tra treni e autobus urbani e autobus extraurbani e navicelle spaziali. Il nostro dopolavoro ferroviario fatto di caffè dai cinesi, di pizze in salaprove e di pizze in salaconcerti. Bologna e il Locomotiv e un soundcheck lungo secoli. Bologna è l'ennesima volta ma questa volta ci sentiamo un po' più nudi e conta poco la sciarpa e le luci sparate in faccia e la drum machine ancora troppo ostile.
La batteria sembra un po' più grande il palco sembra un po' più piccolo tu sembri un po' più tu.
Ma questa volta ci sono gli occhi per vedere, c'è la presunta tranquillità di metabolizzare i momenti data da quei trenta concerti in più sulle mie spalle piegate, di realizzare le cose quando accadono, come gli abbracci in giro per l'Europa come le piazze immense.
Amami, vienimi a cercare. Prendimi, stringimi fino a che mi fai un po' male.
Come il brivido freddo di sedersi su quello sgabellino che è sempre più comodo e guardare avanti e sentire le urla sincronizzate con quello che siamo. Guardare avanti e sentire che quello che sentiamo noi, è condiviso, soprattutto a Bologna. Chi cerca, trova. Ca y est.
Che mi dici che a te non piace così tanto, che le paure non han fissa dimora, che le vostre svolte son sogni di gloria, ma in fin dei conti è il posto migliore, per così tanti motivi che poi non ce li siamo nemmeno detti tutti, ma ci abbiamo fumato su un po' troppe sigarette. Le mie.
Il camerino era murato e quanto è stato divertente lo sappiamo solo noi. Vortici di presentazioni e di nomi dimenticati e di posti di blocco ipotetici e di autogrill notturni. Continuando ad essere bravi, che non è così male aprire gli occhi senza sentirseli grattare, e anche se non ci sei aspettami che arrivo pazienta dieci minuti un quarto d'ora al massimo.
Che magari verrà male, ma magari è il momento che nemmeno io so cos'è, ma passerà. Deve passare. Mi deve, ci deve, passare.
Così magari a Bologna ci torniamo, magari solo per presenziare, per le aste della batteria che sono ancora dietro il palco del Locomotiv, per una festa che saluta un'epoca che ho conosciuto troppo tardi.
Tutto passa come il mio periodo viola degli accendini. Che adesso siamo al periodo blu ma è meno intransigente. Che ce n'è stato uno bianco, in mezzo, velocissimo, fulmineo. E' bello essere intransigenti lo sai, non dare spazio a niente tranne che alla propria verità. Portata su un palmo di mano per sentirsi più stabili sui propri piedistalli di legno. Per non avere nemmeno l'impressione di cadere. Come fanno molti, come fanno troppi.
Se in una discussione ho torto, forse potrei darmi anche ragione. Se in una discussione hai torto, la ragione te la sogni.
Mi chiedo come fai a non cadere mai, l'avvenire è andato ma i sogni del passato sono ancora tutti qua.
Tra miccette e chitarre che non vanno. Cercando bottiglie di vino rosso che tu mi dici che è molto più bello dire di che vino si tratta, ma noi cercavamo semplicemente quello che faceva più gradi. Quattordici, per l'esattezza. Vi abbraccio, pisani, pensando a casa, pensando a quando era il tuo gruppo preferito, pensando all'innocenza di quei giorni che poi secondo me chissà se era davvero così. Pensando alle cene di pesce, alla montagnola e alla maglietta dei Motorhead. Come ad Eindhoven che la canzone prima di salire sul palco del TAC era Aces of Spades.
Tutto era come ce lo si aspettava. Anzi no, non fingiamo, è stato un delirio di proporzioni atomiche. Sgattaiolare di appartamento in appartamento bevendo vodkalemon e declinando qualsiasi altra cosa. Con gli assoli di chitarra quando si apre il frigo. Con mi fa davvero piacere trovarti qua beviamo qualcosa. Con gli uccelli proiettati sul muro e l'incenso nel cortile. E tutti vestiti di nero. Prima ci facciamo seimila foto e cinquemilanovecentonovantotto vengono malissimo poi mi distraggo e mi versi una candela sul braccio per una ceretta fai da te. Poi ti distrai e i miei jeans si bevono anche loro un vodkalemon. E la ceretta tocca anche a te. E io ho la faccia gonfia. E voi avete le vostre lingue infilate una nella bocca dell'altra, ragazze mie. Cosa di tutto rispetto, figuratevi. E qualcuno ha la testa infilata in qualche pentola. Mi ringrazierai offrendomi il caffè, un giorno lontano.
Alle donne agli uomini ai froci, vi amo vi adoro e ricopro di baci. Però andateci piano.
Però a casa andiamoci ancora più piano che i saluti sono infiniti e noi stiamo benissimo ma siamo quasi sicuri che l'ordine costituito ha dei parametri diversi per valutare la nostra gioia di vivere, in caso.
Come una sessioncina molto postpunk. Come sforzarsi di non raccontarti com'è il film. Che nessun piccione è stato ucciso, anche se non stanno simpatici a tutti, i piccioni. Topi con le ali. Lo diceva anche Sepùlveda, ma forse parlava direttamente di pipistrelli.
Twentyfour hour party people.
Ricorderemo tutto, ricorderemo il rumore dei tacchi sotto i portici, l'odore di erba della casa vicina, le tue parole che anche se non credo agli oroscopi credo a chi vive e osserva e pensa. Te che mi vieni a salvare ma io sono già salvo e allora parliamo del più e del meno fino a quando ci scaraventano a terra e contro la lambretta parcheggiata in cucina.
Ricorderemo dei posti che chiameremo casa. Vedrai, poi nello specifico sarà una casa bellissima. Con un giradischi nuovo, con le foto di tutti i posti in cui siamo stati, con le fragole attaccate ai muri, un letto grande, un frigo ancora più grande, una lavatrice con dentro un acquario e un tappeto a dare un tono all'ambiente.