lunedì 26 settembre 2011

Il destino che ci siamo scelti.

Questo progetto di tesi nasce da qualche anno di troppo lasciato per strada, da come sono cambiate le cose, da come la faccia si è asciugata nel tempo. Dalle bottiglie di vodka lungo via Gattamelata, ed eravamo oggettivamente dei bambini, a quando mi hai trovato davanti a psicologia mentre contavo fino a mille per non tornare dentro ad uccidere qualcuno. Questo progetto di tesi supera ogni senso di spazio di tempo, che sembra ieri e tra ieri e oggi è successo di tutto, siamo andati ovunque e siamo tornati sempre qui, il primo giorno come il giorno prima di laurearsi.
Claudia, Niccolò, Lavinia, Stefano, ci siamo conosciuti qui. Alberta, Jack, Federica, Seba, ci siamo ritrovati in molti posti. Ci siamo persi perché ognuno ha deciso cos'era meglio per se stesso, che ci hanno un po' preso in giro promettendoci cose che non sono stati in grado di mantenere, un lavoro e una stabilità che a ripensarci avrei provato a medicina. Per abbandonarla perché siamo fatti di una sostanza indecifrabile, ma che di sicuro non sono sogni, non sono anni infiniti, e soprattutto non è sangue.
Parlavano del contratto implicito al prosieguo degli studi, ma nessuno mi aveva spiegato cosa si prova a stare sopra un palco per davvero. Mentre abbiamo fatto l'abitudine a sentire ministri e sottosegretari che parlano di noi come degli sfigati, un'interfacoltà di merda per gente che non ha voglia di fare niente. E invece noi ci credevamo davvero, almeno fino ad un paio di anni fa. Per cui perdonatemi se ondeggiavo con la sedia durante la discussione, perdonatemi se non sembravo agitato in alcun modo e se giovedì sera stavo a bermi una birra con gli amici.
C'era chi era emozionato anche per me.
E c'è chi si è preoccupato di farmi ricordare per sempre questo venerdì, questi anni che son passati, questo progetto di tesi, questi esami, quel prof che se ne è andato per sempre una settimana fa, quella prof che invece è ancora tra noi nonostante le nostre maledizioni, quelle mattine eterne, quelle mattine buie, quei pochi mercoledì da leoni che però a chiudere gli occhi sono sempre qui.
Mancano ancora dei passaggi, manca la coscienza di aver terminato un qualcosa che ti accompagnava da sempre, da quando non avevi memoria. Resta il tempo che ci serve per comprendere quale sarà la prossima mossa, anche se il destino che ci siamo scelti, ce lo siamo scelti da un pezzo.

venerdì 2 settembre 2011

Qualcosa di definito.

Sai, oggi la linea tra il mare e il cielo è meno definita del solito, sono svariati azzurri che si mischiano e si sovrappongono. Come le tonalità di grigio e di nero tra le nebbie estive, in quella strada sempre uguale che si perde nella campagna e arriva fino alla salaprove, nell'estrema periferia del nostro mondo. Dove c'è un dialetto diverso, dove ci sono io e la musica che decido di ascoltare per arrivare sconvolto a dilaniarmi le orecchie tra due amplificatori accesi e una manciata di ascoltatori dalle molte zampe.
Gigi ha paura dei rospi, a me fanno schifo i ragni, e non c'è modo di farseli piacere.
Un po' come quando vorresti smettere di amare o di odiare qualcosa anche se sai bene che è una guerra persa in partenza, e anche vincere una battaglia sarà un'impresa.
Però le frasi potrebbero essere più corte, più definite. E invece i giorni si allineano come i chilometri percorsi, tutti uguali, sacrificati ad un qualcosa di più profondo che è così profondo che non si riesce a distinguere. Come le frasi ad effetto che adesso devo chiedertele in prestito. Come in quei film che si passa da un giorno ad un altro di qualche anno dopo, facendo finta che in mezzo non ci sia stato nulla. Ed invece è proprio in quel nulla, che costantemente mi perdo. Così poco definito, da non sapere se è meglio volarci sopra a quella linea, o nuotarci sotto. Ma forse questi contorni sfocati sono proprio quelli che per adesso ci salvano la vita, mentre decidiamo un posto dove sparire per qualche giorno quando sarà il momento, anche se non lo abbiamo ancora trovato.
Oggi è un giorno strano, dove la pelle è più sottile, dove ho cominciato a fumare prima del solito e ho già finito mezzo pacchetto.
Oggi è un giorno sfocato, dove mi piacerebbe attaccarmi con le unghie a qualcosa che c'è.
Un tavolo è un mobile con una superficie piana, di solito con quattro gambe, di solito in legno, se parliamo di tavoli seri. C'è stato un tempo in cui non stavo mai fermo ed ero alto esattamente quanto il tavolo della cucina, e prendevo tutti gli spigoli, continuamente. Non c'erano onde lunghe, non c'erano ombre lunghe, c'ero solo io che correvo inseguito da nessuno e curvavo sempre troppo o troppo poco e ogni volta mi schiantavo.
Ecco, quando penso a un qualcosa di definito, oggi è un qualcosa del genere.

giovedì 1 settembre 2011

Frammenti di un agosto mai arrivato.

Un giorno penseremo a queste giornate tutte uguali, e ci rideremo su. Magari con una birra in mano e con i piedi immersi nella sabbia calda di un altro agosto, perché questo che è già passato, in realtà sembra non essere arrivato mai.
Non siamo mai stati così pallidi, poche altre volte ci siamo sentiti così ripagati nel dividere le nostre giornate tra un computer e un miliardo di appunti scritti peggio del solito.