martedì 24 febbraio 2009

Una storia un pò così - Gratis Club, Senigallia (AN)

Meglio scriverti, prima di dimenticarti. Meglio dirti di come sono andate le cose. Che poi tutto va a mischiarsi in qualcosa di indefinito, che poi tutto diventa indistinto, come quando fuori piove. Ma non piove, allora come quando siamo distanti.
Senigallia non è dietro l'angolo e questa non è esattamente una scampagnata e non sembra vero nemmeno a me quando ti dico che siamo carichi e stanchi allo stesso tempo. Ma è vero. Ma è vero come è stato tutto meccanico, ma è vero come la telefonata delle undici che mi fai ti disturbo? hai da fare? e io no figurati tranquilla tra dieci minuti dovrei salire sul palco ma tranquilla. dimmi.
Senigallia e mi pare di stare a casa solo perchè il vento ci scompiglia i capelli, ma non ci ruba le parole, semplicemente perchè non ne abbiamo. Che sembriamo dei giapponesi, e battiamo i denti e ci abbracciamo perchè fa davvero un freddo fottuto (cit.).
Poi siamo saliti sul palco, ci siamo seduti, abbiamo suonato, ci siamo alzati, abbiamo ringraziato, siamo scesi dal palco.
Poi sul ritorno troviamo la cioccolata alla creme brulè, quella di quella volta, che sembrano passate quindici vite e invece era solo ottobre. Così ci ripensiamo, in silenzio, accendendo una sigaretta e soffiando il fumo al di là del finestrino abbassato.
Il resto, il vino bianco, Hugo Race, i cocarhum, il party indiano, il divanoletto, è una concatenazione di fatti accaduti in qualche ordine e in qualche luogo. Come quando bombardano i soffitti delle chiese o quando ti dovrei dire una cosa ma so che ci sarebbero dei punti oscuri dimenticati annacquati e quindi verrebbe fuori una storia un pò così.
Ciao caro ma che hai combinato? mi dice Chiara baciandomi la guancia quando entro a casa sua e si vede che sto ancora dormendo dopo un riposo notturno durato quattro ore scarse niente chiara diciamo che ieri sera ci siamo andati giù davvero pesanti dico io e a volte quando Egle non dice nulla è come se avesse detto molte cose.


e ogni numero era occupato
e ogni numero era sbagliato

lunedì 16 febbraio 2009

Le dogane e gli inverni

Poi sono tornati il sole e i pomeriggi azzurri, dopo un sacco di mesi di troppa notte. E allora magari ci prende bene metterci fuori una mezzoretta a guardare il mare dal balcone. I tempi sono bui ma come ci siamo detti i tempi saranno anche messi così ma insieme è tutta un'altra cosa. E usciamo di casa dopo tanta assenza e dopo il nuovo corso che ci siamo dati e che abbiamo intenzione di rispettare. Che dobbiamo rispettare per forza, in realtà, che siamo stanchi di questo limbo, e le giornate di sole ci aiuteranno relativamente.
E mercoledì c'è quel treno che mi aspetta, che cambierà il vagone cambierà il controllore ma è sempre lo stesso treno. Che Saussure lo classificherebbe come entità, in quest'ultimo spero rigurgito semiotico.
E giovedì c'è il Gratis di Senigallia e l'ennesima discesa accampata a dare le testate al timpano con il libro di organizzazioneaziendale e le sigarette do-it-youself. O forse addirittura con le camelmorbide, vogliamo rovinarci.
Intanto sfumi in maniera involontaria perchè ti sei messa addosso un vestito che non riconosco e mi sembra impossibile che tu sia tu. E non una brutta copia, e non un brutto sogno. Ma queste cose non serve nemmeno che te le venga a dire, che tanto non mi sentiresti, dovessi urlare per ore. Sarei sempre coperto dalla mediocrità di questi tempi bui.

veramente vivo in tempi bui
riuscivi solo a chiedermi per quanto?
e ora son diventato buio anch'io
che cos'hai tu da brillare tanto?
e mi cambierò nome
per passar le dogane e gli inverni
andrò sempre più giù dove non serve tenere gli occhi aperti
e mi cambierò nome
ora che i nomi non valgono niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente

sabato 7 febbraio 2009

Non vediamo alcuna ragione per considerare il segno soltanto come segno della sostanza del contenuto,o solo come segno della sostanza dell'espressione

Poi è vero, fatichiamo a mettere in fila i pensieri. Le linee e il carattere lineare del significante di Saussure. I vuoti e l'odio profondo nei confronti di Hjelmslev. Aspettando Peirce.
Sognare di uscirne vivi sarebbe già un traguardo importante, perchè uscirne vivi è impossibile. Perchè presto torneranno il sole e i concerti e soprattutto i tuoi occhi. Presto collezioneremo di nuovo biglietti dei treni. Così andremo finalmente a berci il nostro cocktail borghese con vista sulle due torri, che costa un botto e magari farà anche schifo. Ma ci convinceremo che in realtà stiamo pagando il servizio, stiamo pagando la forma, non solo la sostanza.
In realtà stiamo pagando qualcosa che non sappiamo e ce ne rendiamo conto giorno per giorno, esibendo splendidi sorrisi di circostanza. I sorrisi sinceri li lasciamo dentro le stanze vuote. Che sono così poche ma così grandi che da soli non riusciamo a riempirle, che sono come organizzare i dayoff per vederli andare in fumo mezz'ora dopo.
In realtà è solo colpa di questo inizio febbraio, è stata colpa di questo fine gennaio, è stata colpa della pioggia e del sosia dell'uomo-dei-fumetti-dei-simpson. Che esploda.
Che esploda skype e il telefonino senza credito se dobbiamo litigare, se dobbiamo giocare a scherma con i nostri punti di vista.
Che esploda quell'aggeggio inutile che fa risuonare l'iPod nella vecchia amatissima scalcinata opelcorsamille, il suo cigolio inutile che disturba le parole e le canzoni e le mani tra i capelli.
O forse, davvero, è come dite voi, che ascolto musica un pò triste. Che la preferisco al ritornello figo e accattivante che ho già dimenticato prima che finisca la canzone. E ci sorrido, e penso ad Alta Fedeltà, e penso al quesito esistenziale di Rob ascoltavo la pop music perchè ero un infelice. o ero un infelice perchè ascoltavo la pop music?
E ci sorrido un pò più forte perchè non sono nè infelice, nè ascolto la pop music. E ci vediamo presto.