giovedì 31 marzo 2011

Che bell'inganno sei anima mia.

Alla fine il treno diventa quel luogo neanche troppo immaginario in cui smetto di pensare e comincio a scrivere. Su questo regionale in cui ci ho dormito, dove ho sproloquiato telefonate chilometriche verso tutti gli angoli d'Italia il più delle volte verso casa, dove ho preparato esami dagli esiti impensabili, dove ho immaginato infinite vite parallele, in ogni stazione, in ogni campagna.
E questa mattina è cominciata presto con De André nelle orecchie, con il professore che arriva con mezz'ora di ritardo e mi offre il caffé. Che ne ho bevuto uno dieci minuti prima ma va bene lo stesso. Dice che i lavori che ho preparato l'anno scorso adesso glieli somministra agli studenti di quest'anno, poveri loro, quelli che gli spedivamo ad orari improponibili e che poi erano orari in cui lui mi rispondeva immediatamente.
Gli ricordo che anch'io sono ancora uno studente ogni tanto, e lui mi risponde che ogni tanto è un professore ed è contento di sapere che non è l'unico a vivere in un colpo solo due o tre vite diverse. Anche se l'idea di tirare le somme a questa catastrofica carriera universitaria rende tutto più leggero, anche un progetto di tesi che l'aggettivo che ho sentito più volte quando l'ho spiegato è stato "utopico", insieme a "bellissimo". Allora alleggeriamo il tutto, e ci vediamo ogni tanto, e ci vediamo a Milano, al concerto. O a bere un altro caffé che il prossimo lo offro io. E poi ti telefono e ti racconto, così la strada tra l'università e la stazione sembra più corta, e poi mi arrivano messaggi su messaggi di gente che ha deciso di cercarmi proprio in quei tre minuti. Che lo abbiamo citato mille volte e in stazione mi viene a prendere Moltheni, tra un po'. E ovviamente adesso mi chiama per dirmi che è incastrato a casa e allora mi invita a pranzo. Con io che improvviso una conoscenza esagerata delle viuzze di Bologna, che chissà magari arriverò per cena. Mentre partono telefonate involontarie oltre l'oceano atlantico, e ti tratterò bene, e dorme la madre con il figlio in braccio e il figlio è enorme e avrà tre mesi al massimo. E continua questa cura di De Andrè e ogni tanto sbuca Fossati. Che bell'inganno sei anima mia, che bell'inganno per fortuna ci siamo ripresi appena in tempo e l'anima te la cedo volentieri, basta che ci vogliamo bene.
E ripenso ai commenti lunghissimi a cui non so rispondere, mi do tempo due settimane ma magari la prima volta che torno un po' ciucco le parole verranno. Che il concetto non è poi così complesso, e a pescare ci sono andato una volta. Anima mia, che bell'inganno sei.
E poi guardaci siamo qui a sopravvivere tra gli scioperi, sono passati due giorni e molte cose sono state sistemate, contro ogni previsione. Con questo sole e questi tramonti lontani, camminiamo in questa primavera ritrovata, anche se la borsa pesa un sacco ma non mi lamento e mi piacciono i tuoi commenti. E sei mesi sono passati, tanto per tornarci, tanto per tornare a quel nucleo di dolore che si attacca al cuore. Non fatemi pensare, e tra un anno spero di esserci, che non ho problemi a dirti che mi hai convinto. Sarà l'esperienza, sarà l'inesperienza, sarà che chissà quali saranno i miei prossimi scarponcini.
Che bell'inganno sei anima mia.

giovedì 17 marzo 2011

Della pioggia e degli anni che passano.

Poi ripenso a Trieste e alle sue vie in discesa piene di lavori in corso. Alla cassa della batteria che la vedo rotolare allegramente e che la vado a riprendere una trentina di metri più sotto. Alla cassa della batteria e al mio fegato e a mia madre quando le parlo del tempo. Della pioggia e degli anni che passano. A chiedersi se sono nati prima certi bar o le persone che ci bevono dentro da trent'anni. Mentre mi racconti di una mano a poker di venticinque anni fa, quattro re contro una scala reale e la possibilità di tornare a casa con una casa in più. E io ti racconto di quando venticinque anni fa non possedevo neanche quel briciolo, diciamo, di materialità per poter piangere mangiare riempire i pannolini dormire. Produci consuma crepa.
Cambia registro, scrivi in cinque minuti quaranta cartelle dopo che per quaranta giorni hai scritto cinque righe e ne hai cancellate tre e una ci hai pensato un po' e poi l'hai lasciata per non sentirti troppo inutile. A dirsi che scriviamo al computer perché ci siamo disabituati a usare la penna e dopo due minuti cominciano a venirci i crampi alla mano. E generalmente abbiamo una grafia troppo indecente che a volte non capiamo neanche noi cos'abbiamo scritto. Che poi sul più bello finiscono i fogli e allora cominciamo a scrivere ovunque anche negli angoli delle strade e una volta ho finito una frase dipingendomi le braccia.
Mi dici ti vedo un po' svampito forse ultimamente ti stai facendo un po' troppo e io ti rispondo ma che cazzo dici e intanto mi dimentico dove abiti, e intanto abbatto le biciclette parcheggiate,e intanto è una cosa che penso anch'io.
Bisogna essere liberi e democratici e i discorsi di Pertini che valgono più di una bandiera attaccata al rovescio per festeggiare un compleanno che non sentiamo nostro. Come festeggiare i quarantanni anche se vorresti spegnere quindici candeline in meno. Bisogna capirci quando i tuoi respiri sono troppo cadenzati e quando ti sfioro ma non riesco a toccarti mai. Quando ti saluto ma non mi stai guardando.
Come quando mi telefoni per chiedermi com'è andata la serata perché dalle nove della sera alle nove del mattino dici hai un piccolo vuoto di memoria.
E tutti i miei tu che sembrano un telefono occupato.
Perchè siamo così bravi ad eludere i buttafuori e a deludere i gestori, che quindici euro sono troppi per un tributo e per scansare le sigarette che mi tiri dietro. Che ci siamo conosciuti così e lei non ci crede e invece ti ricordi ero uno sbarbo pieno di sogni di gloria. Mentre adesso mi si dice che sono cattivello e che quindi il mio giudizio non è da sottovalutare.
Poi ripenso ai miei cachet ridicoli quando suonavamo per venti euro, quando vigevano i prezzi imposti dei biglietti, quando a Vigevano ci ricordavamo di qualcuno che non vediamo più da ventanni ma che forse abita ancora qui. Quando siamo troppo uguali a quegli ideali sconfitti che sembrano certi libri di Wu Ming.
Quando ho sognato che eravamo io e Fiorenzo sul palco dell'Estragon e si era inceppata la macchina del fumo e sembrava di stare in un pomeriggio autunnale nella campagna dietro la salaprove. E finiva il pezzo e c'erano quattro vecchi seduti su quattro sedie in mezzo alla sala deserta. Che ci applaudivano e ci chiedevano il bis. Pensa che non ho avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno e poi l'ho scritto qui.
Qui che tra un paio di minuti saremo a Rovigo e un po' mi prende male.
E ho finito i fogli.

sabato 5 marzo 2011

Annarella.

Sarà che quello che abbiamo cucinato questa notte alle quattro, più che uno spuntino sembrava una cena mancata, sarà che adesso il cielo è bianco sopra i tetti delle case e un cielo bianco non promette mai cose troppo positive, saranno i mozziconi di sigaretta abbandonati nel posacenere in salotto. Saranno le nostre conversazioni infinite sugli stati d'animo e sugli stati d'angoscia. Sarà il caffè che scalda le vene e le mischia alle parole che non riusciamo a dirci, alle parole e ai concetti che abbiamo in testa e che non ne vogliono sapere di uscire seguendo un qualsiasi filo logico. Saranno i Calexico e le discussioni serie se è nato prima l'uovo o la gallina, e se noi nello specifico ci sentiamo più materiale da frittata o volatili domestici. O semplicemente se visto come vanno oggi le cose nel mondo, già solo spaccarsi la testa possa essere una soluzione accettabile, che di quello che ne viene fuori ce ne occuperemo con calma, poi.
Saranno le vostre guide sportive o la Vodafone che mi chiede di tornare offrendomi irripetibili affari che mai in dieci anni mi hanno offerto, o ancora meglio quelle ore passate a litigare fino a che i semafori torneranno verdi e potremo ripartire. A perderci ancora nelle campagne addormentate per quelle stradine tormentate che forse non hanno nemmeno un nome. Che dovremmo darglielo noi. Nelle vie di una cittadina spazzata dal vento e dal mare, a calcolare quanto potrebbe essere vasto un isolato e quanti isolati ci potrebbero essere da un punto x a un punto y, che poi siamo noi. Nel mio cuore ci sono parecchi isolati e un'autostrada, con tu che la percorri come sempre guardandoti un po' in giro che sembra che seguire la carreggiata sia l'ultimo dei tuoi pensieri, con io che senza che te ne accorga mi puntello sul sedile, che non si sa mai. Anche se mi fido, che il tempo ci ha stretto e niente è stato perso, mai, e tutto quello che abbiamo raccolto con gli occhi lo abbiamo messo dentro scatole ben confezionate, decorate con le pagine strappate di un vecchio libro e immerse nel tè, per farlo sembrare ancora più vecchio.
Dimmi, non è così? Con Annarella che nei tuoi sogni smette di essere solo una canzone e diventa una specie di consacrazione, un passaggio di consegne. Sarà che è così semplice da suonare. E dimmi, soprattutto, se è colpa degli anni che ci scivolano addosso o è colpa nostra che non ci prestiamo troppa attenzione. La rivoluzione, amore, la rivoluzione, la presa della bastiglia, noi siamo la rivoluzione, senza comunicati stampa, senza dire che bisogna vederci meglio e vederci prima degli altri. Semplicemente dobbiamo scendere in piazza, ad abbracciarci tra il rumore degli spari, sotto questo cielo bianco che promette quello che deve promettere. Al massimo qui è pieno di portici, per prendere fiato.

venerdì 4 marzo 2011

E tutte quelle cose che non ci hanno detto.

Ti ho visto seduto nell'unico vagone ancor prima di cercare un'obliteratrice funzionante in tutta la stazione di buttare la sigaretta tra i binari e di salire sul treno. E mi sa che te ne sei accordo anche tu, di chi c'era oltre il finestrone. Erano anni, che non ti vedevo. Abbiamo auspicato di prendere le nostre strade e di non salutarci più. E' passato più di un lustro, ora che siamo prossimi ai cinque e quindi possiamo conteggiare così. Dopotutto c'è stato un tempo in cui conteggiavamo i cachet dei concerti in piastrelle. E proprio per il tempo che è passato, per tutti quei fili che abbiamo tagliato dando fuoco ai libri di greco e di scienze della terra, che mi sono ritrovato seduto nella fila di fianco alla tua, con te nella solita postura da giovane terribilmente vecchio, le gambe piantate, il corpo leggermente in avanti. Odioso quanto la postura che ho assunto io, più rassegnata, meno sbruffona di un tempo, o forse di più. E ci concediamo un resoconto fulmineo di questi cinque anni abbondanti, per ritrovare, senza capirci bene il perché, che nelle nostre strade diverse in certi guadi eravamo entrambi finiti con i polpacci in acqua. Che ci siamo portati dietro e dentro delle cose che ci hanno segnato entrambi, anche se non le avevamo colte quando ce le avevano dette, spinte dentro a forza. E tutte quelle cose che non ci hanno detto, soprattutto. Così cambiano i treni e si trovano le coincidenze, ritrovo la tua ipertensione per le cose più abitudinarie, avrai ripensato a quando a ragione non ci sopportavamo, ma sembrano cose dimenticate in una soffitta e ritrovate troppo impolverate per attribuirci ancora un qualche valore. Mentre le distanze si accorciano fino alla prossima stazione. Piuttosto che augurarci sedicenti e reciproche fortune, mi ragguagli sul dove fanno la cocacola e che nonostante anni da accaniti peccatori bisognerebbe redimersi e zuccherare qualche altra acqua, e ci stringiamo la mano con quel tono cerimoniale che fino a qualche tempo fa avremmo pensato fosse il marchio ineludibile della vecchiaia e che invece ti accorgi che è la mossa definitiva. Quello delle piastrelle di prima direbbe una virile stretta di mano. E poi, in fondo, lo sappiamo tutti che sei sempre stato vecchio.
Arrivando a casa l'autobus ha preso tutte le buche dalle due torri a mazzini, mentre scopro che il tramonto arriva molto dopo di quando avrei pensato. Sorrido.
Ci sono bottigliette vuote di cocacola ovunque, sul tavolo in cucina, sul divano, una in bagno. Rido. Mi accendo una sigaretta.
Rido più forte quando trovo l'ultima a separare i vinili dai cd.
Dici che a volte dovrei togliere l'iva alle cose che mi succedono per riuscire a vederle un po' meglio, per non provare a costruirci attorno una piramide con le carte solo per il gusto di tirarle fuori dalla scatola. Allora aspetterò i tuoi passi sulle scale, mentre con le bottiglie vuote e una inspiegabile pallina da tennis ho ammazzato il tempo, per un po'. Non avevo mai pensato quell'appartamento adatto per il bowling. Che è una pratica particolare, indubbiamente. Che poi ne parlava anche Moltheni, quando ne esisteva uno.