mercoledì 8 settembre 2010

Stanze vuote.

L'autunno ci è piombato addosso così all'improvviso che quasi ci siamo sentiti stupidi per non aver colto tutti i segni che abbiamo incrociato per la strada. Quando abbiamo cominciato a parlare del niente in un lungomare freddo e deserto come certe banchine nel porto di Amsterdam, quando abbiamo salutato le insegne spente di quei posti che abbiamo accuratamente evitato per tutta l'estate. Adesso non riesco ad ascoltare nemmeno De Gregori, che cattura più attenzione di quanta gliene volevo dare, che ripenso a come ci siamo ritrovati muti a pedalare senza meta, con la speranza di trovare qualcosa di aperto, di vivo. Ci saremmo fermati e ci saremmo potuti ubriacare lì, lo sai. In faccia ai maligni e ai superbi e alla nostra comodità e alle nostre filosofie spicciole che evitano certi posti. Come tutti.
E mentre non ci dicevamo niente io cominciavo a macinare pensieri sconnessi, di dare fuoco ai tamburi spaiati e di ricominciare a suonare davvero. Lascia perdere le stronzate e i mostri sacri e le seghe mentali, prova a farci stare nella macchina nuova la cassa della batteria. Che sarà volata giù per una strada di Trieste, ma che le vogliamo bene, e non l'abbiamo mai trascurata. Come quando ci spegnevamo le sigarette sulle braccia perché era da un bel po' che non ci vedevamo e facevamo finta di trattarci male, ma era bastato un mezzo sorriso, su un falso bolero. Dicevamo lascia perdere le stronzate e senti come suona Gelo e che casino fa che ci fa tornare la voglia, e organizziamoci l'autunno e i ritorni a Bologna per affari istituzionali. Non farmi diventare quello che non voglio essere. Tanto ormai l'autunno c'è arrivato in faccia e un po' ci ha fatto male, inutile nasconderlo.
Ma tutto questo Alice non lo sa. Ma tutto questo tu non lo sai perché contro certe congiunzioni sindacali non si può far nulla, apparte aspettare e insultare per telefono una tipa del call center. Che ci fregano sempre, accidenti a te e alle tue sintesi.
Ma non volevo finire qui, mentre uno stream of consciousness di terza categoria genera altri silenzi, mentre continuo a sbattere la testa sullo stream of revenues e su queste cinquecento pagine di tecniche di marketing in rete.
Ma non volevo finire così, e invece. Sarà un segno. Sarà che non resta poi tanto. E sarebbe troppo facile dire che restano stanze vuote.


giovedì 2 settembre 2010

Nocciola.

Mi hanno detto che oggi avrei potuto scrivere un post noir visto che precipitiamo e cominciamo anche a rendercene conto. Invece il mio post è marrone nocciola, che poi sono i tuoi occhi che poi erano particolarmente dilatati così per non nasconderti. E i miei erano piccoli e va bene basta con i miei occhi. Che poi non sappiamo neanche di che colore sono.
Mi hanno detto tante cose ma tu me ne hai dette di più e io ti ascolto e so che ascoltare a volte non basta. Vorrei solo riappacificarmi con tutto quello che non è successo e cambiare nome. Perché davvero ti aspetto e prenderò questi giorni per riempire con i lego tutte le crepe. Perché la manutenzione di certe cose toccava a me ma ogni tanto me ne sono dimenticato e adesso guardo il muro e sta in piedi per miracolo. E ho scelto i lego perché vengono fuori delle cose belle e colorate come quando scompariamo nei campi di colza. O come quando tossiamo perché siamo rimasti troppo tempo a prenderci il vento della laguna.
Perché adesso tutto viene male e le cose dette poi non me le ricordo neanche tutte e poi a disquisire sui termini ci metteremmo troppo tempo e perderesti tutti gli aerei del mondo. Che ogni tanto basta semplicemente allentare la corda. Che da per terra le cose si vedono storte e i movimenti si fanno peggiori e guarda come vengo sgranato in foto. Ma questo è e questo mi dispiace. Dammi il tempo di alzarmi e di andare di là a prendere tutti i lego di mio fratello e vedrai che poi al massimo mi chiederai cosa ho combinato che sono tutto trafelato e io ti dirò niente scrollandomi di dosso quel po' di polvere che resta tra le pieghe della camicia. E questa è una promessa. Verba volant, scripta manent.