venerdì 26 febbraio 2010

La nuova disposizione delle cose lascia molti spazi vuoti (4)

Pazientate altre tremila battute, che questo è l'ultimo quarto, è il colpo solitario di hi-hat, prima di chiudere. Prima di alzarci sorridervi e andarsene. Che qui finisco io e cominciate voi, o viceversa. Come quando accendevamo la sigaretta sbuffando per sprofondare nel primo divanetto disponibile. A cercare il silenzio. Come quando fuori piove che è la frase penso più abusata di questi mesi infiniti di blog.
Mercì Valentina.


venerdì 19 febbraio 2010

La nuova disposizione delle cose lascia molti spazi vuoti (3)

E così siamo arrivati al terzo capitolo di un qualcosa di contorto e di vero. Vero come gli occhi, che qui vero sta per vetro e quindi verrebbero fuori battute dimenticabili. Che si cominciano a serrare le fila, anche se le frasi che cominciano con il che non sono sempre le migliori. E ci riprendiamo anche a chilometri di distanza perché ci sono state cose che ci hanno legato. Ci hanno stretto i polsi e io ne porto ancora i segni. Sarà che voi ve ne siete andati da un pezzo e io sono rimasto qua. A rincorrere sogni sbilenchi.
Quasi a dimenticarmi di postare queste quattro righe.

venerdì 12 febbraio 2010

La nuova disposizione delle cose lascia molti spazi vuoti (2)

Trecentesimo post e dentro non c'è scritto nulla. Solo un link, un due di quattro che si porta febbraio a braccetto. E c'è stato nevischio neve e ora c'è un minimo sole. Da sussurrare, che non si sa mai.
Intanto tra un po', 33ore porta le sue musiche sul palco del Locomotiv, prima del cuore anoressico di Giorgio Canali.
A bientot.

venerdì 5 febbraio 2010

La nuova disposizione delle cose lascia molti spazi vuoti (1)

Setteperuno ci ospita e ci lascia invadere i suoi venerdì di febbraio. Così questo è il primo post di quattro dove ci sarà solo un link. Ma siccome mi perdo in mille parole inutili, per questa volta solo per questa volta mi cimento a parlare del nulla. E domani sera c'è l'ultima data del tour dei Blake/e/e/e, a Montelupo Fiorentino. Così ci salutiamo. E poi accàsa. Come quando eravamo a Milano a guardarci le vene.

lunedì 1 febbraio 2010

Giù come forse sei tu quando viene la sera.

Questa cosa qui non è stata scritta adesso è stata scritta in treno. Perché adesso va così. Perché così funziona. Perché dovevo fare tutt'altro. E invece.
Partiamo da un pacchetto di winstonblu morbide. Perché fa troppo freddo per rollarsi le sigarette di drumbianco. Perché le mani sono congelate e non solo le mani. Partiamo da un treno che chissà se e quando partirà ma dovrebbe partire, che mal che vada ci metterà dei secoli ad arrivare. Che basta arrivare a Padova, che ormai ci siamo organizzati e ci siamo abituati a questi disguidi con trenitalia, che al massimo nelle news ti dice che la linea superveloce supersottile tra Chioggia e Rovigo si fermerà per disinnescare una bomba. E non ti dice che solo a Bologna è venuta giù una nevicata memorabile e in tutti i posti in cui siamo stati in cui dovremo andare c'è il sole. Partiamo con queste strategie di viaggio che scrivo in una carrozza di seconda classe di un regionale sbagliato e che poi passerò in un blog che continua ad essere inutile, e che è diventato musicale con il tempo, e che si è caricato di tanti troppi significati.
Con i Bachi da Pietra a farci compagnia, e mille voci diverse oltre le cuffie, per sostituire la tua. Non perché siamo tristi, ma perché siamo stanchi. Perché siamo necessariamente minimali, navigando a vista, navigando in solitaria mentre ti dico cosa sono diventato e tu mi dici che non sono più io e io concludo con il peggiore dei e vabbé. Perché è vero, a volte si ha solo bisogno di rendersi conto delle cose, per capire cos'è giusto e cosa si sbaglia. E allora ti ringrazio per le seconde volte, per le seconde possibilità, per i castelli di carta che ricostruiamo dopo averli fatti precipitare con un colpo di mano sbadato, quando eravamo quasi convinti di avere fatto un buon lavoro.
Intanto il treno è partito, cinque minuti di ritardo. Il controllore passa e fa finta di non vedere nessuno e non chiede i biglietti e si sistema il nodo della cravatta, leggermente storto.
Perché adesso ci siamo fermati e la nuova disposizione delle cose lascia delle voragini. Da cui vedere i paesaggi innevati e il sole che muore oltre i colli e la basilica e i cartelli blu di Bologna Centrale.
Perché adesso in realtà non siamo ancora fermi del tutto, ma procediamo per inerzia. Che avevamo gli occhi gonfi quando ci siamo detti non lo facciamo per scalare i quarantanove scalini della saggezza lo facciamo per essere telegenici mentre ci schiantiamo.
Giù come forse sei tu quando viene la sera.
Ma guarda come siamo magnifici mentre precipitiamo. Mentre ridiamo e fingiamo di tirare su vetri divisori immaginari. Mentre le prove con 33ore sono magicamente saltate perché la mattina ha portato in dote una quindicina di centimetri di neve e con la macchina di Marcello in sala prove non ci saremmo arrivati mai. E scusa se non ci vediamo da troppo tempo e la prima mezz'ora dopo il concerto l'ho passata a fissare il vuoto, che sono fatto così. Specie se non hai neanche un freedrink a disposizione per scioglierti la lingua e lo stomaco. Specie se non hai neanche la forza di iniziare una discussione decente, perché io sono lucido e tu sei spaventosamente brillo e nelle orecchie ho ancora i corvi che gracchiavano dalla cassaspia e non capisco le tue parole biascicate.
E stiamo attenti per piacere a cosa diciamo e a come parliamo. Che dirmi certe cose e pensare che io sia dentro la tua testa e ragioni con la tua testa è un difetto di valutazione indicibile. Che io sono io con i miei obbiettivi e la mia fame. Sono tutte le sensazioni di cominciare un esame e alla seconda domanda di finire l'inchiostro della penna. Di maledire una calcolatrice perché tira fuori dei risultati eccessivamente sbagliati. Sono tutti i silenzi e tutti i giri che il batterista dei RUNI fa ogni quattro battute e io faccio fatica a pensarli in una canzone intera.
Ma va così, e non è arrendevolezza. E' presa di coscienza. Come andare a letto che è mattina e quando si sente la sveglia pensare solo non è possibile. E dove non ci arrivo io ci siete voi che in vari modi mi fate capire che forse quarantanove scalini no, ma uno forse dopo mille scivolate potrei averlo scalato. Che penso sia un divertissement, e invece potrebbe essere qualcosa di più. Senza etichette, che al massimo ci scherziamo sopra e ci diamo un'aria sovrastimata solo per beccarmi un pugno sulla spalla. Che non è forte che non fa male, ma che è deciso, che a volte mi tiri giù anche così. Perchè te sai come prendermi e come fermarmi e come farmi sentire.
Come quando finisco il tabacco e Andrea mi prepara una sigaretta senza che io gliela chieda, e assaltiamo l'autogrill anche se è un MyChef. Che lo sanno tutti che l'unico autogrill peggiore di un MyChef, è un MyChef chiuso.
Il controllore torna e chiede il biglietto, faticando a vedere il marchio dell'obliteratrice. Perché è vero, gli va concesso, nell'obliteratrice c'era pochissimo inchiostro e non si legge nulla, che potrei averlo segnato un mese fa. Allora lo vedo abbassare gli occhi sulla data e l'orario stampato dalla biglietteria automatica, il momento dell'emissione del biglietto. 31012010 16:06. Il nodo della cravatta è ancora storto. Ci sono cose difficili da raddrizzare.
Ed io ho finito le parole.