venerdì 23 aprile 2010

Il momento.

Fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori dai. Affondiamo i remi nell'acqua torbida di citazioni spaventevoli, di angeli della nebbia, di personaggi lontani nello spirito e nel tempo, che mi rincorrono. Correggio sembrava così lontana, invece sarà tra due settimane. E a suo modo è un qualcosa di aspettato e di non propriamente conscio, che tutto può succedere e quindi può anche non succedere niente. Com'è già successo. Bisogna preparare il campo, i treni, gli spostamenti, bisogna affinare le mail che ti scrivo troppo poche volte e che manifestano chiaramente la mia incapacità di dire cose sensate. Sarà che mi piace osservare più che scrivere, che mi piace appoggiare le spalle e la testa al muro, e sentire il rumore che fa la notte. Mi piacciono le persone con tutte le loro incongruenze, quelle incongruenze che sappiamo essere in noi e che tanti fingono di non avere. Liberi tutti, di fingere una perfezione che non esiste. Libero io di sentirmi ancora più in dovere di notarle e di sorridere, in silenzio. Libero di sentire che qui c'è poco da riempirsi, anche se era così bello infilarsi tra le calli nelle notti estive, in bicicletta. Moderatamente fatti ma non così tanto, da riuscire a realizzare il momento. Era così bello, com'era così bella la panchina sulla laguna e i carabinieri che ci vengono a trovare, il mare dopo otto ore di macchiatoni che non ce lo ricordavamo così vicino. Ma non basta, non basta. Non è colpa mia se mi piacciono i volti sconosciuti, se mi piace la confusione della stazione di Bologna, se mi piacciono i camerini pieni di fumo, i discorsi alle fermate degli autobus, i concerti della vita che si sia in sei o in sessanta o in seimila poco importa, le persone che piove e ti prendono per il braccio e ti porgono il loro ombrello. Mentre piove, piove. Ma intanto.
Mentre prepariamo la squadriglia del giudizio, amici miei, radunando il nostro cinismo spietato fatto di applausi alla bolognese e di birre piccole, che ci usiamo spesso anche tra di noi. Perché se vai su un palco, devi essere conscio che puoi essere massacrato. Che sei passibile di giudizio.
Mentre ho fatto la pace col mio passato anche se insomma più che una guerra è sempre stato solo un acceso diverbio, e ti ho detto con il sorriso tu mi hai insegnato ad avere pazienza e io a suo tempo ti odiavo per questo perché volevo soltanto uscire da quella salaprove sottoterra e spaccare il mondo invece alla fine ho capito che avevi ragione tu, che l'irrequietezza mi prende ancora, ma adesso la misuro, la costringo. La sfrutto. E pensare che invece tu adesso fai i concerti senza sapere cosa portarti sul palco. E abbiamo brindato ai due anni lontani.
Mentre guardo la bellezza di quelle facce soddisfatte quando si socchiudono leggermente gli occhi, perché quello che hai appena sentito è esattamente quello che volevi sentire, parola più parola meno.
Mentre fuori pioviggina e franano i progetti alcolici della serata.
Mentre mio fratello cresce ogni giorno di più e sento che si stacca piano piano, come dev'essere, alternando presenze ed assenze, alternando sonnambulismo, abbracci inspiegabili, e l'illusione degli otto anni.
Mentre studio l'arte di ascoltare e sempre più stona il verbo studiare. Che sarebbe ora di viverli, questi pomeriggi piovigginosi. Continuando a riempire pagine inutili, ma che facevano molto più male, quand'erano bianche.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche se non ti conosco, mi piace come ti racconti ! saluti da un passante

silvia ha detto...

riempi il vuoto e svuota.

(mi fa scrivere -tacintra- per verificare io non sia puro spam. bello, tacintra, sa di rustico e di etnico. così io spammo lo stesso ed eludo i controlli.)

chris-r3i ha detto...

Spettacolo. Complimenti