lunedì 23 agosto 2010

Paga per ogni posto che non vedrai mai.

Fermati, guardati attorno. Resta immobile mentre le zanzare ci assaltano e ci lasciano meno vivi a cercare la comodità in una sedia di vimini. A ordinare le stesse cose che beviamo da un'estate intera, divisi tra la voglia di continuare questo limbo cambogiano per un'altra manciata di mesi e il desiderio di allontanare il doppio malto dal nostro fegato fino ai prossimi caldi del 2011. Per cosa, per il niente?
Diamanti grezzi e orsacchiotti di peluche, oggetti persi in mare e resi, nodi al pettine che si mischiano con l'assenza di esperienza, la carenza di ossigeno, la follia latente, le cene di pesce che non facciamo più.
Fiore non si sente sola ma io sento la chitarra che va da una parte e la voce dall'altra, mentre il vento ci scombina la capanna che abbiamo costruito in mezzo alla spiaggia, con le mollette e le lenzuola rubate a casa. Dove l'acqua è così limpida che si possono distinguere le alghe. Che sono così tante da non sapere da che parte buttarsi, un attimo prima di sciogliersi sotto questi ritrovati trenta gradi. Mentre giriamo tra i pescherecci e non ci diciamo una parola, e assecondiamo tutti questi nuovi fotografi facendo foto assolutamente a caso.
Nel mulino che vorrei sarebbero due o tre al massimo e avrebbero in dotazione una polaroid senza flash. Nel mulino che vorrei faremmo dei concerti bellissimi all'ora dell'aperitivo e a mezzanotte tutti a casa, nel mulino che vorrei resterebbero fuori solo i ragni. E nel mulino che vorresti tu?
Siamo ripassati dal via senza rendercene conto, a pensare ai posti che non vedremo mai e che avremmo potuto vedere, anche solo se quel messaggio fosse stato diverso, anche solo se i cuori non si fossero sbriciolati, anche solo se. Anche solo se qualsiasi cosa, spostando il letto in poggiolo perché sono le quattro di mattina e sono incollato alle lenzuola e gli occhi non si vogliono chiudere. Ma ti scrivo perché in fondo cambiano i tempi e le sensazioni e i miei precari equilibri interni, ma sono sempre io e mi auguro di non essere sempre il peggiore in campo.
Guardati attorno, ogni tanto guardati indietro, tanto per vedere cos'è rimasto. Per vedere te. E per vedermi cangiante, un po' più slanciato, un po' meno accaldato. Sicuramente con quel sorrisetto ebete che dicevi è solo perché sei un paraculo. Invece a pensarci, poteva quasi sembrare un sorrisetto ebete di quasi felicità.
Quante cose devo fare.

1 commento:

silvia ha detto...

ferma un tassista.
strappagli le mani dal volante.
digli di restare fermo.
lascia andare il tassametro.

E paga.