venerdì 3 maggio 2013

Io non ho speranze, io ho fede.

In fondo non è cambiato poi così tanto, o forse è cambiato tutto. Di sicuro non sono cambiate certe contraddizioni. Come questo foglio bianco che non so se voglio davvero riempire.
Come arrivare a fine mese perché in fin dei conti si è capaci di scrivere e di sintetizzare concetti, ma cadendo costantemente sul filo teso di una chat, in cui rileggersi e sentirsi un coglione perché manco uno di terza elementare riesce a farsi capire così poco.
Come salire su un palco dopo essersi odiati nella mezz'ora precedente, dopo aver gestito a fatica i brividi di freddo nonostante i venticinque gradi fuori, dopo aver ingurgitato bustine di zucchero e averti rassicurato con un cenno della testa che forse la testa non si è nemmeno mossa.
Adesso ce l'ho pure segnato a vita su un braccio, questo insieme di contraddizioni. Anzi, la medicina a queste contraddizioni. Quei discorsi fatti sul palco di un Estragon ancora con i cancelli chiusi e la gente fuori, millemila anni fa. Quella canzone. Quella dedica. Le cadute e le onde lunghe. Quel libro perso e poi ritrovato. I ritorni.
Ora c'è solo un modo diverso di sospirare, quando sono le cinque del mattino, nel momento in cui prima di svenire ci si guarda intorno per capire dove ci si sta per addormentare, che sia Bologna, o Firenze, o qualche paesino delle Marche. Ora, come dire, ci si rende conto di dove finisce il proprio corpo e di dove comincia il resto, compreso tutto quello che si è incamerato.
Sono diventato tutti i passi che ho percorso, perché li ho vissuti uno ad uno. Rido di meno ma rido più forte, più in profondità, perché ridere in fondo è una cosa bella e delle cose belle non ci si stufa mai.
Parlo di più ma a volte metto il pilota automatico, perché per quanto sia devi sempre essere qualcosa e allora è meglio che quel qualcosa non sia necessariamente odioso, o metereopatico, o semplicemente stufo di essere quel qualcosa. Vivendo la contraddizione di apparire più stronzo di quel che sono, con le persone con cui vorrei essere semplicemente io, con il bisogno ogni tanto di non pensare, di abbassare la guardia, di abbracciarsi. Penso di più perché non si torna indietro, e alla fine non sono più lo sbarbo della ciurma, in ogni situazione. Ci si scherzava anche in mezzo al macello del primomaggio di Padova mentre tentavo di placare l'adrenalina postconcerto, ma ci si scherzava un po' meno quando siamo entrati nel nostro solito locale a quattro passi dal mare per inaugurare la nuova stagione estiva, e ci siamo sentiti tutti da pensione. E nel mentre, a nostra insaputa, avveniva questo cambio generazionale, ho imparato da gente che la sapeva lunga e anche da chi non sapeva un cazzo, che sono due modi diversi di imparare ma alla fine qualcosa rimane sempre. Ho imparato cosa non voglio fare, finalmente, e questa cosa forse era la meno scontata di tutte.
So cosa mi manca e quanto mi manchi e dove mi manchi, riconosco i tuoi respiri, la tua presenza e ancora di più la tua assenza, riconosco gli odori e conservo in una remota parte del cuore una gamma di sensazioni che non voglio decifrare, che sono un groviglio di cose che rimangono lì e hanno un peso che mi fa sentire meglio.
Ma non è facile per niente. Nel ritrovarmi poi a guardare fuori dal finestrino la pianura padana che scorre, Giallo che elogia la sua nuova macchina dopo la brioches e il cappuccio delle tre di notte, il bagagliaio pieno di strumenti, il ronzio dentro l'orecchio dove da un mese mi somministro un metronomo a tutto volume per ore e ore, un disco che non sopporto nel lettore, una sigaretta tra le dita, e pensare che in fin dei conti questo è quello che voglio essere. So che non è facile per niente, so che è tutta una contraddizione. Ma così deve essere. Ma così voglio che sia. Non potrebbe essere altrimenti.
Io non ho speranze, io ho fede.

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