martedì 7 ottobre 2008

Tutta colpa di Moltheni

Il freddo era arrivato di nuovo, con una velocità imbarazzante ed una cattiveria degna della Siberia. Lui alzò il bavero della giacca e schiacciò più forti le cuffie dell'iPod dentro le orecchie, quasi a stordirle, quasi a stordirsi. Il freddo lo aveva sorpreso, come aveva sorpreso tutti, e lo si notava dalle mani screpolate, dalle labbra tirate e pronte a scoppiare, piuttosto che dai colori più sbiaditi che lo attorniavano. Che attorniavano tutti. Lo spaventavano, i colori sbiaditi. Lo facevano sentire meno definito, lo facevano sentire più appiattito. Ma provava ad andare oltre, a non soffermarsi su quelle cose così naturali, così cicliche, da fargli paura. Lui non pensava, camminava e basta, infilava un passo dietro l'altro, ascoltava i rumori della strada ovattati dalle guarnizione di gomma delle cuffie e dalla musica, e basta. La musica era bassissima, impercettibile e sovrastata dalle troppe macchine che gli sfrecciavano a fianco, così infilò la mano nella tasca e fece girare la rotella dell'Ipod per alzarne il volume, e cancellare il mondo esterno; esplose in cuffia L'età Migliore di Moltheni, così forte che gli venne istintivo mordersi le labbra, già al limite della sopportazione. Affondò i denti nella carne, sottile e fragile come la carta di riso. Il freddo diluì il dolore, il passo non ne risentì eccessivamente. In bocca, immediato il sapore inconfondibile del sangue, quell'unica goccia che però sembrava averlo riempito fino allo stomaco. Siamo troppo suggestionabili. La stessa mano che aveva sfiorato l'Ipod ora cercava tra le tasche dei jeans un fazzoletto qualsiasi, che non esisteva. Passò alla borsa, scivolando tra il pacchetto di sigarette morbide e le chiavi di casa, tra il portafoglio e l'accendino, di quelli piccoli con la placca in metallo sulla rotellina per preservare chissà quale bambino idiota dal darsi fuoco. Niente, ovviamente. Ricalibrò le sue priorità, accelerando il passo. "E' ora di ricucirsi i polsi", pensò, e solo dopo che il pensiero si era materializzato, realizzò quanto un cantautore fino a pochi mesi prima sconosciuto potesse costruire in tempi brevissimi un immaginario, una serie di frasi nuove recliclabili per ogni evenienza, anche per un incisivo superiore che affonda in un labbro. Pensò anche che la priorità non era questa, pensò che c'era già Moltheni, ormai quasi alla fine della canzone, a fare da colonna sonora a quel momento di dolore anestetizzato. Al primo bar che gli si parò davanti, entrò veloce e con gli occhi bassi, senza curarsi dei particolari che solitamente amava ricercare. Afferrò i tovagliolini di carta posati sul bancone e tamponò il labbro, attento a non sporcarsi le mani con quell'unica goccia di sangue che ancora persisteva e desisteva dal seccarsi. Poi si guardò attorno, tornando in lui, e scostando le cuffie dalle orecchie. Da quando era entrato nel bar, aveva dimenticato tutti i suoni del mondo, compreso quello che usciva da quell'iPod regalato due anni prima, e che cominciava a perdere qualche colpo. Si soffermò sulla gente riflessa appena dai finestroni, sul vecchio che leggeva il giornale locale seduto in un angolo e sulla sua tazzina vuota, ormai fredda e segnata dall'ombra del caffè. Sulle bottiglie di superalcolici mezzevuote allineate dietro la banconiera, una signora che avrebbe potuto avere duecento anni, così mascherata dal trucco pesante e da un rossetto quasi marrone, passato con troppa violenza.
"Desidera qualcosa?".
"Un caffè, grazie", rispose lui, mentre continuava a tamponare il labbro, più per sicurezza che per una vera e propria necessità. "Anche un bicchiere d'acqua".
Consumò il caffè e il bicchiere d'acqua, attento a non toccare con la porcellana prima e con il vetro poi la sua ferita microscopica, e ancora aperta. Il caffè mascherò il sapore del sangue, e la sensazione di calore immediata lo rinfrancò fino quasi alle ginocchia.
La solita mano trovò velocemente il portafoglio e mise cinque euro tutti sgualciti sul bancone. Prese il resto e se ne andò, salutando meccanico, e alquanto silenzioso. Il vecchio era ancora fermo sulla stessa pagina del giornale locale, la bicentenaria si era già voltata dall'altra parte come se lui non fosse mai entrato, come se lui non fosse mai esistito.
Infilò le cuffie e riprese la sua via, preparandosi a ricevere nuovamente lo schiaffo del freddo, di quel freddo inaspettato che aveva sorpreso lui come tutti gli altri. Quel freddo che aveva fatto essere lui uguale a tutti gli altri. Con un labbro morsicato, in più.
E allora realizzò che, in fin dei conti, era stata tutta colpa di Moltheni.

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