mercoledì 20 ottobre 2010

Trenta centimetri.

Ci siamo stravolti e siamo tornati come certi dischi e certe situazioni che ciclicamente ci ritroviamo qua, inaspettate, come le tue battute fuori luogo, come le mie assenze come le tue assenze. Come quelle telefonate con il fiatone che sottintendono rapporti fraterni che non avremo mai e che alla fine è giusto così. Come i racconti commissionati e tu che mi guardi e cerchi le parole più giuste per parafrasare un non si capisce un cazzo più che legittimo. Che poi è perché davvero non ci capisco nulla di quello che sto vivendo e del modo in cui mi curo e quindi di cosa vuoi che scriva di cosa vuoi che canti? Davvero mi devo arrendere all'evidenza anche solo per spiegarmi perché quando discutiamo mi ritrovo ad estremizzare la mia posizione solo per una questione di principio, una questione privata di una camera con un nido d'api di ultimissima generazione incastonato appena sopra il poggiolo, ma che sembra possa resistere per secoli. Arriveranno i pompieri mentre dormono e bruceranno la loro casa e poi verranno da noi e ci bruceranno i libri come nei film che vediamo arrivando in ritardo. Mentre abbiamo stipulato questa cosa che arrivare cinque minuti dopo non è classificabile come ritardo. Mentre abbiamo preso il treno e la pioggia e siamo finiti ad una festa a tema dove il tema della serata lo conoscevano in pochissimi e non c'erano poi tutti questi indizi a ricordarcelo. Mentre siamo ritornati a velocità supersoniche non prima di aver fatto un salto nel passato tra gli autografi di Jeff Buckley e i primi manifesti, quando tutto era cominciato e quando non avevi idea che un giorno ti saresti trovato di fronte a me a tentare di infilare il filtro nell'ennesima sigaretta della giornata. Quando i giochi del destino che non esiste sono per lo meno beffardi, e ho rinunciato ad essere obbiettivo dopo una manciata di secondi, che sarebbe stato come convincersi di voler smettere di fumare mentre si sta andando dal tabaccaio.
E ho dovuto fare una lista delle cose che devo fare perché sennò saremmo persi per sempre, mentre gli occhi di Vladimiro mi guardano ma non mi vedono perché ha venti giorni e non arriva a trenta centimetri dal suo naso. Allora mi tolgo gli occhiali pure io così a trenta centimetri di distanza entrambi non vediamo niente. Però sembrava quasi che sorridesse, ma forse è perché a volte si vede quello che si vuole vedere, come trovarti a passeggiare sotto i portici quando sarai in qualsiasi altra parte del mondo ma non sarai mai lì.
Mentre hai ragione anche te che certe citazioni diventano un patrimonio indie, che ce le fregano e non si possono più usare, e forse è anche per questo che ci arrivano i dischi prima, così almeno per un mesetto possiamo utilizzarle tra di noi nelle nostre mail e nei nostri carteggi. Ma se ci pensi non è giusto. Ma quante cose sono sbagliate.
Invece pensa, che avevamo così tanta voglia di tornare, che non lo abbiamo praticamente detto a nessuno.

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